Recensione: Mechanism of Omniscience
L’abito non fa la monaca… O forse si?
Suonare Death metal, quello vero, sono in grado in pochi intelligentemente; un genere che nelle sue molteplici sfumature riesce sempre a reinventarsi con sfumature sempre differenti, se non per casi isolati di amorfi surrogati. La necessità di revival porta molti gruppi, nuovi o meno, a suonare come la east coast statunitense ha sempre insegno dagli anni 90; gli Abnormality sono così, prendono le vecchie sfumature di Suffocation, Cryptopsy, Dying Fetus aggiungono un occhio di riguardo verso gli ultimi Cannibal Corpse, ingranando quella marcia ulteriore denominata contemporaneità. Come si può notare, alla voce di questo grazioso gruppo troviamo una dolce ragazza che prende il nome di Mallika Sundaramurthy, che a dispetto delle sue “amiche” che gravitano nel mondo metal, non si riduce a canzonette di finta lirica e armonizzazioni pompeggianti, picchia come un martello pneumatico. Non c’è nemmeno da vergognarsi ammettendo che batte molti dei suoi colleghi maschili, provare per credere. Ovviamente non possiamo ridurre la “popolarità” del gruppo e l’ingresso nel rooster della Metal Blade attraverso il sesso di un componente, gli Abnormality hanno delle qualità indiscusse e “Mechanism of Omniscience” le serve su di un piatto d’argento. Secondo parto discografico, secondo centro, che pur non risultando rivoluzionario ed innovativo ha dalla sua una innata dose di ottimo brutal death metal moderno e ben congegnato.
Uno schiaffo in faccia a cinque dita, questa potrebbe essere la metafora perfetta per sintetizzare tutto ciò che si trova all’interno di “Mechanism of Omniscience” attraverso il perfetto surrogato di tecnica, groove e brutalità, senza mai diventare fine a se stessa. Non stiamo gridando al miracolo signore e signori, ma semplicemente si cerca, una volta ogni tanto, di applaudire a dei ragazzi che compiono il loro dovere attraverso passione e dedizione, musica scritta con la passione di sempre. Puro stile US death metal to the core. Oggi, anche la sola volontà di suonare per esprimere una sensazione, una visone, non è un dettaglio trascurabile vista la brama di notorietà che circola nel settore, sempre più attento all’avere un tatuaggio in più o la pettinatura perfetta piuttosto che allo scrivere canzoni degne di essere chiamate tali. Veniamo al nocciolo della questione.
Un album monolitico che già dalla iniziale “Swarm” mette in chiaro quelle che sono le intenzioni della band, attraverso ritmi serrati e fraseggi tecnici ma mai banali; come si è notato negli ultimi anni, l’aumento esponenziale della capacità tecnica non è sinonimo di bravura, dato che suonare cento note al secondo per creare il vuoto sono in grado tutti. In ogni brano, dove la “Titletrack”, “Vigilant Ignorance” “Hopless Masses” e “Cymatic Hallucinations” risplendono sulle altre, l’ascoltatore viene divorato minuto dopo minuto, in preda a spasmi psicomotori alla fine non può fare altro che alternare l’headbanging più furioso alla comprensione dell’accaduto. I brevi intermezzi “Catylst of Metamorphosis” e “Assimilation” lasciano respirare quel minimo, giusto per non rendere l’ascolto ancora più difficile di quello che non sia già; ottimamente congegnati anche gli assoli che tendono a non andare troppo oltre il necessario, portando il livello di quest’album a mantenersi sempre su standard medio-alti. Certamente qualche difetto è riscontrabile lungo la tracklist, ma sono dettagli di poco conto: una lieve ripetitività dei passaggi, una struttura praticamente identica per ogni brano e una produzione leggermente troppo pompata che porta i suoni a mescolarsi non organicamente, sono dettagli maniacali, ma è tutto grasso che cola. Impossibile citare ogni singolo brano descrivendolo meticolosamente, fanno tutti parte di un grande progetto che vede in “Mechanism of Omniscience” un’ottima piattaforma di lancio per gli anni venturi degli Abnormality. Anche se con molta probabilità in molti riusciranno a percepire il classico “già sentito” non v’è alcun dubbio come tutto funziona magistralmente a dispetto della giovane età.
Concludiamo questa recensione, non abbiamo molto altro da aggiungere ad un disco di brutal moderno e ciccione quanto basta, che compie il suo sporco lavoro ottimamente, andando a segno in ogni punto. Con molto probabilità avremo quello che per la loro carriera potrà essere considerato “il capolavoro” negli anni a venire, magari già con il fatidico terzo album, ma abbiamo tempo. Per ora concentriamoci su “Mechanism of Omniscience”, amanti del brutal death ed avviciniamoci agli Abnormality, che figli di una splendida ragazza, non chiedono alcuna gentilezza, stampandoci in faccia cazzotti uno dietro l’altro per queste dieci canzoni. Non è un album per purisiti, per i tradizionalisti, per gli amanti dell’old-school, ma piuttosto per tutti coloro che vedono nella scena moderna qualche speranza e riescono guardando oltre la superficie. Negli ultimi anni la Metal Blade non ha regalato moltissime emozioni in termini di uscite death se non i classici grandi nomi, ma questo fortunatamente è un bersaglio centrato a pieno. Promossi con applausi.