Recensione: Memento Collider
Quante volte vi è capitato di sentire o sentirvi dire la banalissima frase “Ma tu non sei normale?”. Quante volte vi siete detti o avete affermato a terzi “Io non sono normale”. Che tristezza, che decadimento cerebrale che racchiudere una vita di banalità in un concetto così breve ed estemporaneo. La normalità ovviamente appartiene a tutti, l’anormalità è altrettanto impregnata nei vestiti e nelle caratteristiche del singolo, siamo definibili quali normali a nostro modo, singolari in quanto esser umani unici nel loro genere. Affermare di non essere normale porta alla standardizzazione del restante, un minimo di buon senso dovrebbe esistere in ognuno, accettando l’unicità di noi stessi e farne tesoro senza elevarsi indirettamente. La musica dei Virus potrebbe essere anormale, unica in quanto tale, figlia di una generazione pazzoide che porta la Norvegia a diventare sempre più il centro di un’eclisse col baricentro spostato verso l’estremismo. L’estremo come oramai sappiamo non è dato dall’andare veloce o suonare più forti di chiunque altro, vederla così porta solo alla sterilizzazione dell’estremismo unificando i valori, l’estremismo è un concetto mentale. La normalità, che ad occhi di alcuni risulta anormale ed estremizzata non è altro che il concetto alla base della carriera dei Virus, di ognuno dei loro tre album precedenti e di un genio pazzoide che prende i nome di Czral, mastro burattinaio che tiene le redini del divenire. Potremmo citare “Written in Waters” degli oramai defunti Ved Buens Ende, quale capostipite dell’essere odierno della band, a che pro? Oggi i nostri Norvegesi camminano con le loro gambe e hanno appena rilasciato un disco, che potrebbe a tutti gli effetti diventare la mecca per l’avantgarde del 2016, quale fulcro di sperimentazioni e idee precedentemente sì già estrapolate, mai e poi mai meticolosamente elaborate come all’interno di “Memento Collider”. Un’evoluzione costante che dal primo, celeberrimo “Carheart” ha portato in dote un’esperienza ed un’intelligenza, che in pochi casi, è stata riscontrata quale veritiera e credibile sino al midollo. Se il precedente “The Agent That Shapes The Desert” aveva leggermente disatteso i fans dopo un magistrale “The Black Flux” , oggi in mano abbiamo il divenire, il futuro della musica che nel 2015 ha sì preso come nome e cognome “A Umbra Omega”, ma nel 2016 si chiama “Memento Collider”, senza sé e senza ma. Certamente qualche mese addietro l’avantgarde ha avuto il suo ben servito grazie a “Triangle” dei Schammasch, ma è un concetto di sperimentazione completamente distante da questi lidi, confrontarli e metterli a paragone è follia pura. Veniamo a noi miei cari avanguardisti.
Per chi conosce già la bestia non c’è nulla da leggere qua, andate comprate e donate al mondo i suoni dei Virus, non lasciateli silenziosi nell’oscurità; per tutti neofiti invece, i vergini in questo settore, siate pronti perché come accade solitamente farà male ma alla fine sarà piacevole. Sei canzoni, sei inni all’irrazionalità dadaista, un album Dalì-niano con tratti Picassiani infatuato dell’incredibile gioco tra gli opposti. Raccontarlo normalmente, con i soliti scritti freddi e tecnici non porterebbe a nessun risultato se non il netto contrasto tra ciò che si dice e quello che si trova nelle cuffie. Dunque come approcciarsi? Come il taglio sulla tela di Fontana, come la “Merda d’artista” di Manzoni, come una rampa di lancio per l’impensabile. Un’ ipotetico paradosso di Schrödinger dove non si è conoscenza se dentro tali composizioni risiedano canzoni nel puro senso del termine o concetti astratti, registrati in un impeto di fiducia nel mondo. Perché fiducia? Perché non è musica per tutti, non aspettatevi i classici stilemi e le tempistiche canoniche, destrutturiamo spazio e tempo per oltrepassare il presente andando verso uno schianto micidiale con la amelodia del futirsmo di Balla.
La partenza sinistra con “Afield” e i suoi dieci minuti sghembi, senza regole, portano dentro mondi ed universi dove un’ipotetica jam session prende forma minuto dopo minuto; Czral con il suo cantato orchestrale in pulito è il timoniere che dirige questa carovana lenta e senza coordinate sino a metà, dove l’atmosfera diventa più grigia ed opaca, il sussurro sibillino intimidatorio ci ferisce in sordina concludendosi dove tutto era iniziato. Questa è la particolarità di “Memento Collider” prendere un riff singolo, quello su cui andrà a poggiare tutta la struttura dei brani, rendendolo sempre vivo e mai fine a se stesso. Geniale. “Dripping Into Orbit”, “Steamer” e “Gravity Seeker” prendono quella verve retroromantica, vintage e settantina per esplorarla su venti impetuosi; un classico film di Austin Powers dove tutto è candido e figlio dei fiori, sotto acido; distrattamente è come se la singola traccia si ripetesse in un loop all’infinito per sparire e distogliere attenzioni dall’inconsapevole volontà del non creato. Non creare: questa è la anormalità di cui parlavamo all’inizio, senza creato tutto non ha senso di esistere in quanto tale e i Virus non creano, materializzano sogni (probabilmente incubi) per un mondo di avventurieri ed esploratori delle paure della psiche. Probabilmente non ha senso tutto questo, ma è tutto volutamente non descritto, come non descrittivo è il pazzo compositore di Czral attraverso tali melodie. Ed io, quale burattino nelle sue mani mentre vi scrivo, mi ripiego su me stesso, i fili cadono a terra e il pubblico applaude, sipario.
Non ho detto nulla ma l’ho detto bene, non c’è musica ma è bella musica, non v’è normalità ma è strana normalità in antitesi con la standardizzazione del concetto contemporaneo del superficiale. Cosa? Nulla, deliri che avanzano e progrediscono chiudendo una pagina di avanguardismo scritto, pensieri beceri e indottrinati, per un album da “Io non sono normale”, creato da gente normale per ricordare a tutti che si è molto tristi ripensando e confermando tale contemporaneo aforisma. Scommetto che “Io non sono normale” si sorprende di questo scritto e di queste composizioni. “Questa non è una recensione!” E tu sei normale amico mio, banale quanto la massa informe. Tutto deve andare in parallelo, così io mi adeguo. Andate e mangiatene tutti questo è il loro corpo in dono per voi, questo è “Memento Collider”, un arma che gioca di riflesso alla banalità quotidiana per regalare viaggi astrali nell’indescrivibile. Fiero viaggiatore solitario è un capolavoro in quanto tale, ma i veri capolavori sono pieni di difetti, dei quali ovviamente non parlerò, così mi dissolvo. Chapeau Virus.
L’arte è fatta per disturbare, la scienza per rassicurare
Salvador Dalì