Recensione: Metal Pussy

Di Stefano Usardi - 18 Dicembre 2019 - 10:00
Metal Pussy
Band: Gli Atroci
Etichetta: AIM Records
Genere: Heavy 
Anno: 2019
Nazione:
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73

Dieci anni sono passati dall’ultimo vagito discografico degli Atroci, quel “Metallo o Morte” che, per una decade, parve fungere da vero e proprio testamento del gruppo bolognese (anche per cause esterne più o meno felici). E invece no. Oggi, infatti, i nostri tornano alla ribalta con “Metal Pussy”, un album dalla copertina (per tacer del titolo) vagamente allusiva, e riprendono il discorso esattamente da dove l’avevano lasciato tempo addietro. La ricetta del sestetto è sempre la stessa: un vivace heavy metal dal piglio ruspante e la citazione facile ma comunque non plateale, abile a spaziare tra le sue varie ramificazioni e sottoculture sonore per scimmiottare (o omaggiare, a seconda del vostro punto di vista in merito) questo o quel gruppo famoso, condendo il tutto con un umorismo che sarà pure grossolano finché si vuole, come spesso non mancano di ricordare i detrattori del gruppo – a quanto pare più concentrati a indicare una presunta mancanza di raffinatezza nella singola battuta che valutare l’effettivo valore strumentale del pezzo che la contiene –, ma che incornicia alla perfezione l’attitudine sanguigna e romagnola del gruppo, intrisa di goliardica auto ironia nei confronti di tutti i cliché che aleggiano sul mondo del metallo.
Ventun tracce complessive per sessantatré minuti: come al solito quando si tratta degli Atroci, alle canzoni vere e proprie, più o meno una dozzina, vanno aggiunte le solite intro e outro e i numerosi intermezzi a cui i nostri ci hanno abituato, utili per introdurre una canzone, per ragguagliare l’ascoltatore degli ultimi sviluppi storici o commerciali dei nostri (che fine hanno fatto gli Infernal Putrefaction? E i Borchios al Pollo hanno avuto successo?) o semplicemente per raccontare storie di “vita vissuta” con gag a volte deliranti ma anche tremendamente quotidiane. Non manca la collaborazione illustre, che vede Michele Luppi e Roberto Tiranti descrivere il loro gruppo metal nella canzone “Il Mio Gruppo Metal”. Purtroppo, mi spiace notare che a questo giro sono sparite le due ragazzine che sparlavano dei metallari: chi lo sa, forse sono state zincate dal cugino di una delle due? Forse il prossimo album dei bolognesi svelerà l’arcano…
Ma allora com’è questo “Metal Pussy”? Dal punto di vista puramente strumentale poco da dire: gli Atroci sanno sempre il fatto loro. La loro preparazione gli ha sempre consentito di spaziare tra i sottogeneri del Vero Metallo senza apparenti difficoltà, e anche “Metal Pussy” non fa eccezione. Ecco quindi che i nostri si permettono di passare con indifferente naturalezza dall’heavy rock dell’adrenalinica opener “La Birra (Tanta)” al nu metal di scuola S.O.A.D. di “Pogo Pogo Pogo”, passando per il post thrash di “Rutti Mostruosi”, fino alla NWOBHM maideniana della “Vendetta della Faraona”. Il tutto, naturalmente, condito da sporadiche incursioni in generi che nulla avrebbero a che spartire col Vero Metallo, ma che trovano comunque perfetta collocazione all’interno della scaletta donando una piacevole rotondità alla proposta dei nostri.
Se proprio dovessi trovare un difetto in “Metal Pussy” dovrei cercare sempre nello stesso posto: lo ammetto, la voce del Profeta non mi ha mai trasmesso nulla, e nonostante il suo tono nasale e per certi versi petulante risulti funzionale alla destabilizzante ricetta di vaneggiamenti musicali degli Atroci, ancora oggi lo considero il vero punto debole del gruppo. Certo, mi rendo conto che qui si entra nel mondo dei gusti personali e nel vasto reame dell’opinabilità, ma non posso fare a meno di notare come un’impostazione vocale di tipo diverso avrebbe probabilmente concesso qualche punto in più al totale qua sotto. A parte questo, “Metal Pussy” è il solito concentrato di delirio non-sense e metallo pesante che, a seconda di quanto prendiate sul serio voi stessi o la vostra musica preferita, vi piacerà da matti o vi risulterà un’inutile accozzaglia di battute di quart’ordine e sfottò gratuiti.

Tirando le somme, “Metal Pussy” si pone come ulteriore conferma (qualora se ne fosse sentito il bisogno) del valore del gruppo bolognese, regalandoci anche stavolta un’oretta di metallo variopinto e di spessore, suonato con passione ma senza prendersi troppo sul serio. Bentornati, nella speranza che non si debbano aspettare altri dieci anni per il quinto Avvento.

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