Recensione: Midnattens Widunder

Di Daniele Balestrieri - 7 Settembre 2002 - 0:00
Midnattens Widunder
Band: Finntroll
Etichetta:
Genere:
Anno: 1999
Nazione:
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84

Siamo di fronte alla prima fatica di studio dei finlandesi Finntroll, band ormai diventata semi-culto in un certo ambito grazie all’incredibile ventata di freschezza che hanno introdotto nel panorama black-folk e anche grazie alle storie un po’ tristi che hanno preceduto il loro “Visor om Slutet” e seguito l’album che è considerato da tutti un po’ il loro capolavoro, Jaktens Tid. Midnattens Widunder nasce a metà del 1999 e vanta ancora il loro vecchio logo, una scritta ingarbugliata in rami e radici, e una copertina assolutamente di prim’ordine, ovvero un troll con gli occhi lucenti appostato minacciosamente in agguato dietro una roccia. Somnium stesso, il loro ex-bassista, ci racconta come “Midnattens Widunder è una rivalsa dei demoni pagani nei confronti del cristianesimo”, ma non nel solito modo black scandinavo. No, loro sono finlandesi, e si nota immediatamente il distacco dalla vecchia scuola di protesta classica scandinava.

 

L’album, purtroppo di appena mezz’ora, si dipana attraverso nove tracce, compresa intro e outro strumentali. Fin dalla prima, “Intro”, si nota la grande capacità armonica e strumentale della band: in perfetto stile postumo assisterete a un’apertura di sipario in grande stile, orchestrale, finché una ventata d’aria gelida non ci butta nella corale Svartberg, in cui si nota che i Finntroll anche al loro debutto erano tutt’altro che una band alle prime armi. Gli strumenti sono tutti suonati con grande classe, e il cantato screamato giovanile del cantante lascia poco ai dibattiti e molto alla fantasia: già si nota la grande allegria black che circonda le loro canzoni, in uno straripare di cori guerreschi e di tastiere, mai intrusive, che si avvolgono e gorgogliano trionfanti verso la polkeggiante “Rivfader”, dove una eccellente e orecchiabilissima melodia accompagna divertita la canzone beffarda in cui si conta dei troll battaglieri nelle oscure montagne di cui loro sono padroni, e in cui nessun intruso potrà mai avere la meglio. Furiosa la batteria, furioso il cantato, trascinanti le chitarre, l’ascoltatore non potrà davvero fare a meno di battere ovunque piedi e mani finché non avverrà il momento di respiro d’assolo, in cui munnharpe e tamburelli scandiscono un tempo in cui il cantante “bestemmia” in perfetto svedese accompagnato da cori maschili e una trombetta che tanto ricorda il folk dei grandi tempi andati degli Otyg, prima di rigettarsi nuovamente nel turbine del black più selvaggio tipico del loro sound. Selvaggio è proprio la parola più adatta, proprio quando un epico riff di chitarre e tastiere ci introduce alla pomposissima Vätteanda, in cui forse si respira un metal vagamente più canonico, oppressivo, in cui la tastiera non fa altro che ripetere ossessionata lo stesso pericoloso riff, mentre il cantante si avvinghia agli alberi, guardando incedere goffamente le orde cristiane molti metri più sotto. Ed è il momento per i troll di preparare le armi nelle forge, ed ecco che nella quinta, Bastuvisan, dei rumori di sottofondo ci presentano una specie di forgia al lavoro, in cui un pover’uomo tossisce mentre sistema le poche cose che possiede trascinandole sul pavimento, finché un troll furioso non irrompe dalla porta e non devasta tutto, con un’esplosione, in un minuto o poco più di black furioso, una cosa che mi ha ricordato da vicino Kirkovisan, traccia molto originale di Jaktens Tid.

 

Il fuoco brucia il paesaggio, mentre la forgia continua a lavorare in Blodnatt, canzone graziata da un’intro spiccatamente folk, dove una chitarra acustica e dei tamburelli introducono una canzone cadenzata, ritmica, con tastiere ben ponderate e screaming selvaggio. E quando sembra che l’album abbia preso una certa piega, inizia il trittico delle mie canzoni preferite, ovvero la stupenda title-track, Midnattens Widunder, che contiene forse quanto di più bello abbiano mai creato i troll finlandesi, una canzone di pregevole fattura, in cui entrambe le chitarre si rincorrono tra tastiere molto atmosferiche e un cantato originalissimo, che unisce alle strofe basiche dei grandi urli, risate e parti quasi chiacchierate, mentre il ritmo estremamente orecchiabile si spande nell’aria, forte della brutalità delle loro migliori produzioni che avrebbero reso Jaktens Tid il loro lavoro più impressionante. Senza un attimo di respiro la canzone si chiude e si riapre con Sergersang, forse la più black di tutto l’album, canzone in cui le loro classiche melodie folk-polka sono velocizzate a tempi frenetici, come una velocissima festa dei troll che pasteggiano sui corpi straziati e inconsapevoli delle orde cristiane ricacciate a forza da dove sono venute. Ancora una volta le tastiere, che rallentano di colpo a metà canzone, sono le grandi protagoniste di questa traccia, finché i faticosi cori non si interrompono lasciando strada all’outro, Svampfest, in cui i troll si ritrovano, già immemori della strage compiuta, a ballare nei loro reami paludosi, accompagnati da un’orchestra stavolta meno pomposa e più atmosferica. Sembra quasi tutto una presa in giro, è vero, ma l’unica certezza è che questa banda di troll con le chitarre in mano sono gente che sa perfettamente il fatto loro, sia in fatto di melodia che in fatto di innovazione.

 

Non mi stancherò mai di ripetere che la ventata di novità che hanno introdotto questi finlandesi svedesofoni è stata una grazia degli dei, e che sono una band assolutamente da amare con il cuore per la loro vivacità, la grande abilità strumentale e l’enorme auto-ironia, che li rendono forse tra gli esperimenti metal più ingiustamente ignorati degli ultimi cinque anni, almeno.

Ogni volta che sentirete questo album vi ritroverete a casa, vi ritroverete compagni di melodie tumultuose e amichevoli, e troverete sempre qualcosa di nuovo. Tutto questo in attesa, ovviamente, del loro terzo, micidiale album. Non c’è davvero nulla di negativo che posso dire di questa produzione, dalla veste grafica alla qualità musicale. L’unico problema è che è davvero corto, ed è un vero peccato. Speriamo che continuino a saltare per le loro montagne almeno per altri 100 anni. Il metal si merita la loro presenza black/folk, irriverente e possente come una mandria di troll che corre per una foresta.

 

Daniele “Fenrir” Balestrieri

 

Tracklist:

  1. Intro
  2. Svartberg
  3. Rivfader
  4. Vätteanda
  5. Bastuvisan
  6. Blodnatt
  7. Midnattens Widunder
  8. Segersång
  9. Svampfest

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