Recensione: MMXX

Di Roberto Gelmi - 18 Gennaio 2020 - 10:14
MMXX
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(Recensione a cura di Haron Dini e Roberto Gelmi)

A tre anni di distanza dal loro primo lavoro, Psychotic Symphony, ritorna la super-band capitanata da Mike Portnoy, insieme ai suoi compari – ricordiamoli – Jeff Scott Soto, Derek Sherinian, Billy Sheehan, e Bumblefoot. Se il loro precedente disco proponeva sonorità metal moderne, influenze molto importanti del prog classico anni ‘70 (come Pink Floyd, Deep Purple, Emerson Lake and Palmer) e qualche arrangiamento ad archi alla Led Zeppelin, MMXX non si discosta dal tracciato prog metal tout court.

Ma procediamo per ordine. Psychotic Symphony è stato composto in appena una decina di giorni; le sessioni di scrittura di MMXX sono state più prolungate e il risultato sono brani dalle strutture musicali più incisive, dirette ed intricate.

Il disco apre il sipario con la traccia che ha fatto anche da singolo dell’album, “Goodbye Divinity, che presenta un avvio ancestrale di chitarra e tastiere, per poi dare spazio a sezioni ritmiche furiose, complesse ed un ritornello evocativo. Per quanto riguarda la sezione solistica, Derek Sherinian e Bumblefoot si sfogano alla massima potenza. La traccia seguenteWither To Black”, ripropone lo stesso procedimento: riff taglienti, tastiera che si amalgama ottimamente con le linee di basso e sound che come sempre vuole rimanere pomposo al massimo grado, ma pecca di ripetitività. “Asphyxiation”, composta nella maggior parte da riff ultra-pesanti, tenta in qualche modo cambiare le carte in tavola, richiamando infatti alcuni passaggi alla Dream Theater (vedasiJust Let Me Breath”); interessantissimo tra l’altro il duello di assoli tra Derek e Bumblefoot… Il cuore, l’anima e il pathos di Soto, condito con note malinconiche di piano ad inizio brano, rendono “Desolate Julyun pezzo singolare ma allo stesso tempo affascinante, come se fosse una traccia idealmente collegata alla song “Alivedell’album precedente. Questa canzone è ispirata alla tragica morte di David Z, Il bassista degli Adrenaline Mob (gruppo in cui ha militato anche Portnoy) e della loro manager Janet Rains, nel tragico incidente dell’Adrenalin Mob Tour Bus del 14 luglio 2017. Jeff Scott Soto è rimasto molto influenzato dalla morte prematura di David (con lui nel progetto SOTO) e questo brano è un chiaro segno che il dolore si può tradurre in musica, un inno ad un amico perduto che era destinato alla grandezza, un coro emotivo condiviso da tutta la comunità metal.

King of Delusione “Fall to Ascend” (secondo singolo estratto dall’album), sebbene notevolmente diverse l’una dall’altra, condividono allo stesso modo il loro contenuto in parte innovativo. In particolare Derek esplora le proprie abilità tecniche e si dirige verso sensazioni quasi inquietanti a livello di sound e che ricordano le atmosfere glaciali e visionarie dei Planet X. Nella traccia seguente, invece, troviamo probabilmente l’esecuzione strumentale migliore mai fatta dalla band, con un lavoro solistico che raggiunge livelli di complessità senza precedenti.

Nel brano “Resurrection Daysi evidenzia l’evoluzione della band. Per chi li ha conosciuti fin dagli albori, si credeva che il gruppo avrebbe proposto un prog metal sicuramente più aggiornato, ma se li seguiamo ben bene, in questo brano si nota una mescolanza tra Rainbow e Deep Purple con tocchi di metal moderno e riff facondi. Ispirata all’Egitto, la sezione solista gioca con inseguimenti di chitarra, tastiera e il basso funambolico di Billy Sheehan. Il meglio sicuramente è lasciato per ultimo in “New World Today”, dove le idee abbondano a non finire. Si tratta, del resto, di una suite di 15 minuti dove vengono percorse tutte le influenze passate e presenti della band, passando in rassegna una discreta gamma di stili, che vanno dal thrash metal al quasi jazz; non mancano nemmeno chiari riferimenti ad “YYZdei Rush e i testi sono di matrice distopica. Ben costruita da tutti i punti di vista, con folli e brillanti momenti strumentali, questa suite sembra essere lontana dalle meno tornite “Labyrinthe “Opus Maximus (Psychotic Symphony)”.

Tutto sommato, la bestia a cinque teste chiamata Sons of Apollo dà un degno seguito al suo debutto, aumentando ancor di più di volume la propria supponenza e combinando ulteriori esplorazioni con l’inconfondibile identità della band. A differenza del precedente platter, MMXX si fa notare per una maggiore aggressività, ma pure per alcuni momenti altalenanti ad inizio ascolto, mantenendo però tutti gli elementi essenziali per la buona riuscita di un lavoro atteso dai fan. Un lavoro non perfetto, ma che soddisferà anche i palati più fini del prog moderno.

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Genere: Progressive 
Anno: 2020
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