Recensione: Modern Primitive

Di Gianluca Fontanesi - 18 Maggio 2022 - 15:07
Modern Primitive
Band: Septicflesh
Etichetta: Nuclear Blast
Genere: Death 
Anno: 2022
Nazione:
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70

C’è come sempre grande attesa per un disco dei Septicflesh che, forti di un nuovo contratto con Nuclear Blast, si riaffacciano sul mercato cinque anni dopo un non proprio riuscito Codex Omega. Purtroppo lo stato di forma dei greci non è ancora ottimale e lo si capisce già dopo pochi ascolti del nuovo Modern Primitive.

I primi quattro brani del disco sono piuttosto altalenanti: si parte con The Collector che, contrariamente alle solite partenze a razzo dei dischi estremi, vira su lidi più magniloquenti, esotici e orientaleggianti. Di primo acchito fa storcere il naso, ma sulla lunga distanza cresce e si rivela un brano discreto. Hierophant, primo singolo dell’opera, procede sulle stesse atmosfere e, complice un ritornello sinistro e di facile presa, diventa facilmente assimilabile e sarà un brano che dal vivo riscuoterà parecchi consensi.

Self Eater è un brano francamente mediocre, strutturalmente simile alla opener, con riff piuttosto deboli e banali. Zeppo di stacchi e di cambi di umore, va spesso fuori fuoco e risulta piuttosto prescindibile; ciliegina sulla torta la voce “parlata” nel ritornello che più che mordere infastidisce e costringe quasi al tasto skip. Neuromancer, secondo singolo, ha la strofa molto simile a quella di The Collector ed è il quarto mid tempo dell’album di fila, finalmente però Sotiris centra la linea vocale e si respira un po’ di aria fresca. Fino ad ora parliamo però di un disco che si può persino definire deludente, poi però le cose cambiano.

Alla traccia numero 5 finalmente i Septicflesh si svegliano e tirano fuori un brano pazzesco. Coming Storm è eccezionale! C’è proprio uno stacco netto coi brani precedenti: via l’orchestra sanremese, via i terzinati mononota , via i mid tempo. Questo è quello che vogliamo dai greci: dinamiche pazzesche, orchestra aggressiva e non un mero sottofondo e una sezione ritmica sfruttata bene per quello che sa fare meglio. La mancanza di Fotis si sente ancora, e ci mancherebbe altro, ma questo brano lascia davvero a bocca aperta, ritornello incluso, e dimostra che se vogliono possono eccome.

A Desert Throne, terzo e ultimo singolo, prosegue la fase ispirata del disco rivelandosi un altro ottimo momento. La timidezza iniziale sembra un lontano ricordo e ci si inizia a divertire davvero con un break centrale da puro headbanging. La titletrack chiude in maniera più che degna questo trittico, rallentando un minimo le ostilità; anche qui Sotiris tira fuori un buon ritornello e le cose sembrano davvero essersi incanalate per il verso giusto. Psychohistory, nonostante il riffing basico, continua a devastare che è un piacere e A Dreadful Muse chiude purtroppo il cerchio senza lasciare il segno.

Modern Primitive, come già detto, è un disco piuttosto altalenante e con un’ispirazione ondivaga. Ci sono sì picchi di eccellenza ma a sprazzi, come se la formazione con Krimh non fosse ancora ben amalgamata e conscia dei propri mezzi. Si passa da momenti banalissimi ad altri di assoluto spessore ed è un peccato; il disco rende talmente bene l’oscurità e l’incertezza di questo periodo storico de esserne influenzato egli stesso. Come valutazione ci collochiamo allo stesso livello del precedente, sul discreto, ma la strada da percorrere per tornare ai fasti di eccellenza massima di Titan è ancora lunga.

 

 

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