Recensione: Moonlight Pyromancy

Di Daniele D'Adamo - 14 Dicembre 2025 - 12:00
Moonlight Pyromancy
Band: Argesk
Etichetta: Matriarch Records
Genere: Black 
Anno: 2025
Nazione:
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79

Un po’ come il melodic death metal, dato per spacciato più volte nel corso degli anni ma che – al contrario – vive attualmente un’era ricca di band e CD, il black continua, anch’esso, a sfornare act il cui cavallo di battaglia è proprio l’ingrediente melodico.

Componente che negli Argesk svolge un ruolo importante nell’elaborazione di uno stile che, bisogna dire, non è niente male in ordine a un’originalità che, seppur non rivoluzionaria, perlomeno riesce a far sì che i suddetti possano essere facilmente individuati, in mezzo al marasma musicale che delinea il black in tutto il suo insieme.

Moonlight Pyromancy” è il loro secondo full-length, che segue a distanza di un lustro “Realm of Eternal Night”. Una gestazione notevole, quindi, che lascia pensare a una profonda ricerca di nuovi elementi da inserire nel disco in esame. Approfondimenti che hanno portato all’elaborazione di un sound piuttosto ricco di sfaccettature.

A partire da quella che dà vita al magnifico intro “Invocation“, stupenda miscela di musica elettronica e metal, tale da attirare immediatamente l’attenzione di chi ascolta per qualcosa di nuovo, mai sentito prima. Del tutto diverso, però, dal resto del lavoro, imperniato come già rimarcato su un black metal dalla notevole componente armonica.

A cominciare da “Servant of Fire“, feroce attacco alla giugulare guidato dallo screaming disperato di Matt IH, così intenso da strappare la pelle. Coadiuvato, nella costruzione delle linee vocali, da Leth Fourr, che si sovrappone al collega con un rauco growling e, soprattutto, con clean vocals che, come uno squarcio di azzurro in un cielo plumbeo, aprono vasti orizzonti da osservare meditando sulle emozioni che reggono questo genere. Nostalgia, tristezza, malinconia, rigurgitano in maniera naturale dal fondo dell’anima, intersecando la musica prodotta dal quintetto britannico ottenendo quel sapore di autenticità che caratterizza “Moonlight Pyromancy” nella sua totalità.

Un altro elemento importante, almeno a parere di chi scrive, è la provenienza geografica dei Nostri. Gran Bretagna, come si è detto più su, fucina di compagini che, nel loro DNA, hanno una modalità compositiva a volte estranea o perlomeno defilata da quella del resto del Mondo. Derivante, e su questo non ci sono dubbi, dalla NWOBHM, lievito fecondante le cui molecole si rilevano nella materia primordiale che ruota vorticosamente nella mente di tutti i musicisti. Tant’è, è non è un caso, che in alcuni tratti si odano echi di Cradle Of Filth. Poca roba, ma abbastanza da percepirla (“Black Castle Waltz“), senza tuttavia che ciò implichi il benché minimo calo di genuinità nel deciso carattere dell’opera.

Detto questo, tornando nello specifico a “Moonlight Pyromancy“, l’immersione nell’universo creato dai Argesk si rivela davvero piacevole. Le chitarre svolgono il loro lavoro in maniera egregia, fra riff granitici esulanti dal zanzarìo tipico di certa tipologia black e assoli ben calibrati, orecchiabili (“Accursed Victory“) e dal gusto heavy metal (“Accursed Victory“). Un supporto assai importante nell’economia del sound del platter che, in certi punti, è davvero irresistibile nel suo essere splendidamente melodioso e contemporaneamente aggressivo, possente e veloce sino ad arrivare ai blast-beast. Prova ne è la violentissima “Tempest“.

Circostanze che si trovano, tutte, in “Wreathing Serpent“, forse la canzone migliore di tutto il lotto. Di nuovo un incipit estremamente dolce e raffinato che dà il la a un incedere rapido, potente, pieno zeppo di note, in grado metaforicamente di travolgere tutti e tutto. Matt IH urla a squarciagola tutta la sua sofferenza modulando le harsh vocals secondo il sottofondo musicale. Tanta tastiera e tanto basso, in più, arricchiscono, inspessiscono il suono rendendolo praticamente perfetto per un’immersione totale nei meandri di una matrice progettata con cura.

Non solo tecnica, però. Anche cuore. I cinque guerrieri di Manchester, ed è qui che è insito il segreto della bellezza dell’album, mettono dentro tutto quello che hanno. Compresa tanta, tanta passione e amore sia per il black metal, sia per un songwriting perennemente immerso nella soavità del canto delle stelle.

Daniele “dani66” D’Adamo

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