Recensione: Napalm For All

Di Giuseppe Casafina - 24 Maggio 2018 - 16:34
Napalm For All
Band: Ad Hominem
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2018
Nazione:
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70

Elitaria ogni limite conosciuto, la proposta musicale di Ad Hominem, progetto del ‘buon’ Kaiser Wodhanaz, ha sempre diviso sia critica che pubblico.

Mai come in questo caso, però, mi era capitato di dovermi soffermare più del dovuto su un disco del Nostro, vuoi perché fino ad ora avevo sempre apprezzato le opere musicali dell’act in oggetto, vuoi anche perché prendo le recensioni molto seriamente e quindi prima di esprimere un giudizio voglio ragionarci sopra quanto basta senza mai però perderci del tutto la testa.

“Napalm For All” è, a conti fatti, il ‘solito’ disco di Ad Hominem: come in tutti i casi di act originariamente composti da un singolo componente quindi, lo stile sembra mai non allontanarsi troppo da quanto fatto in precedenza e sia pregi che i problemi stanno tutti qui. Tale ultimo episodio in studio del pazzoide di orgini francesi (ora regolarmente residente tra i confini piemontesi) si rivela quindi il solito miscuglio, per quanto ben fatto, di Black Metal e Punk & Roll con contorno di testi nichilisti, ben infarciti di tematiche tanto disgutose quanto a tratti anche demenziali. Cosa differenzia quindi questo ultimo capitolo dal penultimo, riuscito “Antitheist” quindi, da giustificarne l’eventuale acquisto? Una produzione differente innazitutto, più fredda e dai connotati quasi industriali a tratti, dove la voce del caro Kaiser viene filtrata/distorta ben più che in passato, mentre il precedente capitolo vantava una produzione più definita, meno fredda e più infarcita di dettagli caldi, quasi tipici di un certo sound analogico molto ben messo a fuoco sonicamente parlando. In “Napalm For All” il sound invece pare quasi di avvicinarsi, a livello di produzione, ai fasti del furioso e mai dimenticato “Climax of Hatred” e, sebbene la definizione sonora sia ovviamente decisamente maggiore, ci sarebbe anche da dire che per molti aspetti questo nuovo platter condivide più di qualcosa con alcune gesta passate di questo progetto.

Qui le caratteristiche dei brani si fanno, però, ancora più estremizzate: oltre al già citato sound freddo, in grado di donare un impatto ancora più marziale e genocida, ci si aggiunge un maggiore tiro complessivo che spinge ancora di più brani, ora nei riff, ora nelle parti urlate del frontman ed unico compositore effettivo del progetto (mentre dal vivo è accompagnato unicamente da turnisti, sulla falsariga di Taake per intenderci, ma credo che questo lo sappiate meglio di me). I brani non sorprendono troppo per chi è, appunto, già abituato al marchio Ad Hominem, ma riescono comunque a colpire, con il risultato di rendere questo disco un qualcosa in grado di avvicinare ancor di più al proprio culto i fanatici ed allontanare del tutto chi proprio non l’hai mai apprezzato.

Le frecciate assassine non mancano nemmeno in questo nuovo arco, e questa volta corrispondono al nome di ‘AMSB’, opener in grado di spazzare via ogni cosa vivente che osi intralciare il percorso sonoro, ‘Imperial Massacre’ (epica ed apocalittica nel suo incedere classicamente old school black metal), ‘Consecrate the Abomination’ e la carica lussuriosa quanto vincente di ‘You Are My Slut’, pezzo che pare finalmente volere aggiungere qualcosa di parzialmente nuovo nel sound Ad Hominem. Chiariamoci, per innovazione si intende un qualcosa relegato unicamente a livello di costruzione sonora più che di effettiva freschezza nelle sonorità, ma fatto sta che il riuscito gioco di alternanza tra momenti cadenzati e soffusi ed altri decisamente estremi funziona, e pure bene. Sulla stessa scia di quest’ultima si colloca ‘I Am Love’ dove, sempre tra sussurri vocali ed esplosioni sonore, colpisce sulle prime per il tentativo di innovazione ma a conti fatti poi, non graffia come nel caso del pezzo citato in precedenza. Deboluccia ‘Goatfucker’ a mio avviso, forse per via del suo riffing in questo caso sin troppo debitore ai Darkthrone che furono, mentre niente male si rivela invece essere ‘Bomb The Earth’: un pezzo sparatissimo che, sebbene all’inizio ricordi fin troppo certe cose dei Marduk tanto veloci quanto poche ispirate, nel suo rallentamento si rivela un brano grandioso, sicuramente in grado di spezzare il collo all’ascoltatore, soprattutto se proposto dal vivo.

Insomma, qualche tentativo di innovazione è sì presente, ma non al punto da rendere “Napalm For All” il solito disco di transizione: dato l’act in oggetto, direi che forse è anche meglio così e quindi proseguire oltre mi pare inutile…quindi, il verdetto? Il solito: se amate Ad Hominem fatelo vostro al più presto, se lo odiate statene alla larga!

Vedrete che in entrambi i casi vivrete meglio.

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