Recensione: Natural Prestige

Di Damiano Fiamin - 23 Novembre 2011 - 0:00
Natural Prestige
Band: The Oneira
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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78

Si dice spesso che la musica sia in grado di varcare le frontiere, oltrepassando quei limiti che alcuni uomini scelgono di erigere per separarsi dai propri simili. Basta leggere la biografia dei The Oneira per capire quanto queste parole possano essere vere: il gruppo può considerarsi la cristallizzazione degli sforzi di Filippos Gougoumis, polistrumentista greco giunto in Italia per studiare medicina; al suo fianco, due musicisti veronesi di alto spessore: il batterista Erik Spedicato e il tastierista Giampaolo Begnoni, attivi da decenni e con un curriculum di tutto rispetto alle spalle. Dalla parte bassa dello stivale, invece, giunge il supporto creativo della scrittrice barese Giusi D’Angelico, che ha collaborato con la band alla scrittura dei testi. In una perfetta sintesi europeista, il disco vede anche la partecipazione del musicista e produttore tedesco Oliver Phillips; acme di questo sforzo transnazionale, la pubblicazione per un’etichetta francese. Natural Prestige è un disco di progressive rock melodico, le cui sonorità sono debitrici prevalentemente di quei mostri sacri che si chiamano Rush e Journey, con qualche pennellata più dura che ricorda i Dream Theater. Questi gli antefatti, andiamo ad analizzare cosa, in concreto, ci propongono gli Oneira.

L’elegante confezione del disco lascia trasparire un’idea di nobiltà decadente, un’aristocrazia musicale che non si è piegata alle regole del mercato e continua a muoversi lungo i saloni di quel prog che, da quarant’anni a questa parte, continua a creare magniloquenti e immaginifiche impalcature musicali, senza preoccuparsi della loro immediata digeribilità. L’album si apre con un un’introduzione strumentale, il cui incipit sognante si ricollega al nome della band in un arioso dipanarsi di note che, in un crescendo moderato, presenta tutti i musicisti coinvolti nel progetto. L’alternanza di chitarra, batteria e tastiera, ci conduce alla seconda traccia, Secret Garden, il cui avvio deciso ci trasporta in un pezzo che non può non portare alla mente Geddy Lee e soci. Un massiccio ponte di riff sostenuti lasciano spazio a un ritornello più misterioso e onirico, in cui voce e strumenti si fondono e si amalgamano, invischiando l’ascoltatore in una melodia ben costruita. Anche in Moon in the daylight il gruppo decide di fare a meno della voce, facendo nascere un brano piuttosto incalzante, governato da corde e tasti e sostenuto da una batteria implacabile nello scandire il tempo, mutandolo con frequenza per trasportare l’ascoltatore da decise cavalcate a momenti più rilassati. E’ proprio la decelerazione a congiungere la traccia con il pezzo successivo, Into the unknown, aperta da un morbido accompagnamento di pianoforte. Non lasciatevi ingannare, poiché c’è un crescendo in agguato. Anche in questo caso, Spedicato martella convinto in quei passaggi di strofa in cui c’è un mutamento nel ritmo, per una canzone a due velocità ben distinte, ma inzeppate di collegamenti e rimandi tra di loro. Il pezzo successivo, Ichochromata, è un nuovo strumentale che, dopo l’avvio ossessivo, subisce una repentina sterzata verso un allegro ed energetico florilegio di note. Un pezzo meno vario dei suoi predecessori, ma comunque piuttosto godibile. Lo sfumato finale introduce Panorama, a metà strada tra un estatico componimento di musica ambient e un brano new wave degli anni ’80. Sebbene sia ben realizzato, non mi ha convinto particolarmente: il brusco cambio di sonorità stona all’interno della produzione e rimane troppo distinto dalle altre tracce, pregiudicando in qualche modo la godibilità complessiva. Un piccolo passo falso, ampiamente perdonabile.
Lo scanzonatissimo inizio di Oneira da il via a una vera e propria dichiarazione d’amore per la musica. Allegro e vitale, questo brano è uno dei più immediati dell’intero disco; chitarra e tastiera non tentano complesse geometrie sonore, ma lasciano spazio ad un’eruzione di emozioni fulminee. Poetica introduzione per l’ultimo strumentale del disco, Handmade, fresco e rilassato, dominato pacatamente da una chitarra che, pur rimanendo protagonista, riesce sempre a essere discreta e a non soffocare gli altri strumenti. Ci avviamo verso la conclusione del disco quando nelle nostre casse irrompe Running away, brano incalzante e vivace, tiene alta l’attenzione dell’ascoltatore per tutta la sua durata nonostante, paradossalmente, sia piuttosto semplice nella struttura. Intrigante la parte mediana, in cui i musicisti infilano la sordina ai propri strumenti, per di scivolare placidamente  verso l’ultima traccia, Sea Dreams. Incipit romantico e sognante per uno dei brani più intensi dell’intera produzione, lento e rarefatto, si snoda sinuosamente per sei minuti, prima di spegnersi quieto, lasciando calare il sipario su tutto il disco.

Natural Prestige è un esordio di gran caratura. Il livello elevato della produzione non deve certo stupire, i musicisti coinvolti non sono certo degli sprovveduti alle prime armi. Il disco è curato in tutti i suoi aspetti, dalla composizione alla realizzazione, passando per i testi, tutti gli elementi si inanellano ordinatamente e portano al raggiungimento di un gran risultato. Ovviamente, anche questo CD ha i suoi difetti. In alcuni passaggi, può capitare di notare che la struttura del brano diventi fin troppo semplicistica o si raffreddi a causa di inutili banalità; fortunatamente, si tratta di episodi isolati e di breve durata che non sminuiscono il valore complessivo e vengono segnalati solo per onor di cronaca. Un altro elemento su cui un eventuale acquirente dovrebbe soffermarsi è la melodicità d’insieme: l’album è pulito e molto armonioso, tanto da poter scontentare gli appassionati di sonorità più schizzate e acide. Se siete appassionati di progressive, e non vi pesano gli aspetti evidenziati pocanzi, valutate seriamente l’acquisto di questo debutto, non ne rimarrete delusi.

Damiano “kewlar” Fiamin

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Tracce:
1.    Intro (strumentale)
        A. Welcome
        B. Flying
2.    Secret garden
3.    Moon in the daylight (strumentale)
4.    Into the unknown
5.    Ichochromata – The colours of sound (strumentale)
6.    Panorama
7.    Oneira
8.    Handmade (strumentale)
9.    Running away
10.    Sea Dreams

Formazione:
Filippos Gougoumis: Chitarra, basso, voce
Erik Spedicato: Batteria e percussioni
Giampaolo Begnoni: Tastiere

Ospiti:
Vincent King: Voce
Oliver Phillips: Chitarra, piano, tastiere, voce

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