Recensione: News of the world

Di Luis - 3 Novembre 2003 - 0:00
News of the world
Band: Queen
Etichetta:
Genere:
Anno: 1977
Nazione:
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80

Nel biennio 1976-77 esplode in Gran Bretagna il fenomeno Punk che considera morto il rock ed il suo mondo patinato di star del business musicale come Freddie Mercury ed i Queen. La “Regina” a questa provocazione (soprattutto dei Sex Pistols) risponde in maniera costruttiva con questo “News of the world”. La band riesce a rinnovarsi senza perdere il proprio inconfondibile stile: si lascia alle spalle il Rock Opera complesso e fastoso dei primi album optando per un sound più grezzo ed immediato. Vengono così valorizzati il lavoro chitarristico di may ed i potenti vocalizzi di Mercury. Tutto questo lavoro è fortemente orientato in senso rock-blues classico, dove ispirazione e spontaneità sono privilegiate rispetto alla tecnica e precisione. Anche il lavoro in studio viene ridotto rispetto al passato: i brani sono arrangiati in modo molto più scarno e le registrazioni sono durate solo due mesi e mezzo. Ma ora esaminiamo tutti i brani del disco uno per uno.
I due pezzi che aprono l’album (“We will rock you” e “We are the champions”) sono tra i brani più famosi della storia del rock, due veri e propri inni da stadio scritti rispettivamente da Freddie Mercury e da Brian May. Il primo è un hard rock molto semplice ed immediato, con una ritmica essenziale ma unica, non ci sono tanti fronzoli per cui la musica parla da sola nella sua durezza; “We are the champions”, canzone stracelebre, è più orientata in senso pop orecchiabile, ma il suo sound pianoforte-sfrezate di chitarra risulta assolutamente inconfondibile. Inizo decisamente alla grande. Poi arriva la terza traccia “Sheer heart attack”, scritta e cantata da Taylor che vi suona anche basso e chitarra ritmica; il pezzo è durissimo e lo si può quasi considerara un precursore del genere Trash. Sarà uno dei pilastri nei concerti live della band britannica, una canzone che giaceva negli archivi della band fin dal 1974, anno dell’uscita dell’omonimo album. Ci sono però anche lenti d’autore come la splendida e struggente “All dead all dead” scritta ed interpretata da Brian May che dà la voce, sopra un drammatico pianoforte, ad una storia d’amora tristissima. Più allegra e ritmata, con una certa atmosfera pop, è la riuscitissima “Spred your wings” di Deacon (senza dubbio una delle sue migliori composizioni); essa risulta uno di quei trascinanti inni “alla Queen” che danno un importante crescendo emotivo, e qui la chitarra di may favorisce lo sviluppo di belle emozioni e scariche adrenaliniche. Ti viene voglia di cantare a squarciagola insieme a freddie un brano che ti entra in testa e poi non esce più. “Fight from the inside” è uno dei primi tentativi della band ad avvicinarsi ai territori funky, anche se l’arrangiamento pone ancora in primo piano le chitarre selvagge e l’altrettanta selvaggia interpretazione del solito “cattivissimo” Taylor. La traccia successiva sinceramente non la amo molto ed è “Get down make love”, un inno alla sessualità, scritto da Mercury. Risulta un pop-rock caratterizzato da una parte centrale imperniata su una ritmica ossessiva con vari effetti sonori ed eco. Originale, ma non eccezionale. Preferisco decisamente il brano successivo: “Sleeping on the sidewalk”, un bel blues che ricorda Eric Clapton e registrato addirittura in presa diretta durante una jam session. Molto belle ed immediate le sonorità chitarritiche del sempre efficace Brian. “Who needs You” è un gradevole filler scritto dal bassista Deacon, con delle divertenti e comunque efficaci sonorità latine, molto vicine al calypso. Qui May e Mercury suonano le percussionie lo stesso buon John Deacon si propone come ottimo chitarrista ritmico ad accompagnare Brian all’acustica. Finalmente arriva il brano (PER ME) migliore del disco, nonchè uno dei migliori di tutta la carriera discografica dei Queen: “It’s late”. E’ questo un hard rock suonato alla grande da tutti (un plauso anche ai sempre poco citati Deacon e Taylor) e bellissimo nella sua immediatezza e capacità di trscinare l’ascoltatore; apprezzabilissimi i suoi virtuosi cambi di tempo, il durissimo coro che accompagna il ritornello e soprattutto fantastico l’assolo chitarristico di May dop la metà della canzone. Non mi stancherei mai di ascoltarlo e riascoltarlo 1000 volte! Tutto si chiude con una raffinata ballata blues “My melancholy blues”, splendido esempio di genuinità sonora e dell’abilità interpretativa e compositiva del grande genio Mercury.
Ottimo album, uno dei più hard rock dei Queen, con canzoni veramente mitiche ed importanti da ascoltare, ricordare ed amare, come io ho fatto e sto facendo. Veramente ottimo, anche se un pochino sottovalutato: questo non è solo l’album di “We will rock you” e di “We are the champions”!

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