Recensione: Odori Sepulcrorum

Di Daniele D'Adamo - 30 Settembre 2013 - 17:42
Odori Sepulcrorum
Band: Grave Miasma
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2013
Nazione:
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76

 

Nati dapprima nel 2002 con il moniker Goat Molestör, gli inglesi Grave Miasma riesumano le loro vecchie ossa per dare alle stampe il tanto agognato debut-album, “Odori Sepulcrorum”. Preceduto, oltre che dal cambio di nome avvenuto dal 2008, da una produzione minimale rintracciabile soltanto nei più nascosti anfratti dell’underground: “Ancient Barbaric Assault”, demo, 2003; “Realm Of Evoked Doom”, EP, 2005; “Exalted Emanation”, 2009; “Realm Of Evoked Doom”, MCD, 2010 (reissue dell’EP con delle bonus tracks).
 
Dalla più banale lettura di quanto appena riportato non serve molta immaginazione per comprendere quale sia la specialità dei Nostri: death metal putrido, marcio, corrotto all’inverosimile; dedito all’appassionata ricerca di sonorità e testi che riproducano il più fedelmente possibile l’orrido sentore di decomposizione emanato da tombe, sepolcri, cripte et similia. Una dedizione che, pur non essendo certo una novità nel campo del ‘metallo della morte’, sicuramente non è seconda a niente e a nessuno.

“Odori Sepulcrorum”, per davvero, trasuda vermi e liquidi repellenti da ogni poro, ribollendo continuamente nel proprio brodo fatto di carne fradicia e ossa triturate. La cura con cui i quattro necrofori di Londra hanno realizzato il disco è infatti stupefacente, se si rapporta al risultato voluto. I suoi quarantotto minuti di durata, dalla prima all’ultima nota, raffigurano innumerevoli ‘carontici’ traghetti per trasportare anche il più distratto fan del death metal nell’Ade; laggiù ove giacciono, da eoni, miriadi di corpi in perenne deterioramento.    

Un disco che non accetta nessun compromesso riguardo a una vocazione praticamente inossidabile. Partendo dall’ugola acquitrinosa di Y., che narra i suoi empi concetti con un indefinibile growling leggero e mai aggressivo, tuttavia capace di far alzare i peli del corpo per il violento disgusto che emana. Assieme a R.C., lo stesso Y. forma una coppia di chitarristi il cui unico compito sembra quello di segare membra durante gli esami post-mortem. Riff lenti, massicci, dal timbro tetro, doomy; il cui suono ‘zanzaroso’ si accorda perfettamente con il nauseabondo ronzio delle mosche e degli altri insetti necrofagi. Idonea allo scopo, anche, la sezione ritmica. Rozza, primordiale, involuta, eppure varia nel passare dai più lascivi slow-tempo ai grezzi blast-beats macinati dalla batteria di D.

Un sound azzeccato al 100%, insomma, che se da un lato rende come pochi l’idea della fine che fanno gli agglomerati di molecole che formano la carne umana e non, dall’altro espone il fianco del songwriting alla ripetitività. Nonostante uno stile compositivo che si dipana con dei brani piuttosto lunghi, aumentando così il rischio di annoiare, i Grave Miasma riescono a sfuggire a questa trappola quasi del tutto costruendo dei brani apparentemente monocordi che, invece, vivono pardon muoiono di vita propria. Immersi completamente nella fanghiglia eruttata da Y. e i suoi compagni, le canzoni di “Odori Sepulcrorum” riescono a differenziarsi sufficientemente sì da gustarle, per modo di dire, una per una nella loro singolarità. Certo, lo stile di base è così definito e rigido che non ci si possono aspettare dei cambi di rotta improvvisi, nel lugubre percorso da “Death’s Meditative Trance” a “Ossuary”. Proprio questo pezzo, inzuppato in un mare nero di vischiose tastiere atte a sottolineare l’atmosfera malsana che regna indisturbata nel CD, può considerarsi peraltro la migliore esemplificazione del modo di suonare dei Grave Miasma. Un modus operandi che, forse, se applicato con più determinazione, avrebbe alzato il livello complessivo dell’opera.      

Un’opera comunque da non prendere assolutamente sottogamba: al primo impatto si può magari provare una sensazione di dejà-vu, peggio di noia o peggio ancora di amenità in virtù dell’argomento così testardamente trattato. Così non è, e i Grave Miasma fanno di tutto per dimostrarlo. Riuscendoci.  

Daniele “dani66” D’Adamo
 

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