Recensione: Opportunistic Thieves of Spring

Di Damiano Fiamin - 15 Giugno 2011 - 0:00
Opportunistic Thieves of Spring
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Anno: 2011
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67

Seconda prova per gli inglesi A Forest of Stars; dopo due anni dall’album di debutto The corpse of rebirth, il gruppo di Leeds si fa avanti nel tentativo di confermare gli aspetti positivi del loro prodotto primigenio cercando, nel contempo, di eliminare le criticità che l’avevano caratterizzato. Se vi guardate intorno smarriti perché non avete idea di cosa suonino questi ragazzi, sappiate che ci aggiriamo nel buio campo del black metal. Scordatevi però fredde foreste innevate, chiese in fiamme all’orizzonte, demoni ed oscuri rituali sanguinolenti; questi sei gentiluomini (ed una donzella) si ispirano alle atmosfere dell’Inghilterra vittoriana ed, almeno dal punto di vista estetico, ne propongono un’interpretazione molto interessante; l’aspetto visivo è uno dei punti di forza, basta prendere come esempio l’accattivante logo o la veste grafica dei loro CD e del loro sito Internet, davvero molto eleganti e piacevoli.
Partendo da una simile premessa, è lecito immaginare che non ci si troverà innanzi un album di rigoroso black metal norvegese; musicalmente, ci avviciniamo più ai Negurã Bunget ed al loro black metal d’atmosfera, infarcito di richiami naturalistici di vario tipo.

L’apertura, affidata a Sorrow’s Impetus, è un lento ritorno alla coscienza dopo un letargo invernale, il martellamento iniziale diminuisce rapidamente il suo impeto ferale e si affianca ad un cupo violino, tetro alfiere di una malata marcia nelle desolate piane del rimpianto. Sono i cambi di atmosfera a caratterizzare questo brano, che passa da momenti di buia disperazione, lenta e vischiosa, ad episodi di bombardamento sonoro, incessante ma sempre caratterizzato da un velo di ombra malevola. Raven’s Eye View si apre con un lento stillicidio di note che gocciolano in lontananza, fino ad un momentaneo straripamento, breve prologo ad un brano che, almeno ritmicamente, ripercorre la strada tracciata dal suo predecessore, con subitanee accelerazioni seguite da rallentamenti improvvisi, solenni marce affiancate a cariche violente. E’ davvero molto allegra l’introduzione di Summertide’s Approach, una piacevole digressione che non deve però ingannare: il pezzo è lungo e c’è tutto il tempo necessario per procedere ad una svolta più profonda ed oscura. Questi inglesi saranno anche dei gentiluomini ma appare chiaro che non si tirano indietro quando si tratta di calcare la mano in campo sonoro, spaziando agevolmente da punte in cui il metronomo va in fibrillazione ad attimi che rasentano il doom metal più canonico. Gli inserti di flauto e violino, inoltre, riescono a dare ai pezzi un’aria gotica e decadente, forse non proprio coerente, ma sicuramente d’atmosfera. Sebbene l’ascolto non risulti mai sgradevole, il difetto maggiore del disco si cristallizza in Thunder’s Cannonade: la musica è ripetitiva, ogni brano viene costruito schema facilmente intuibile che viene riproposto senza tregua, cambi di ritmo, alternanza tra voce pulita femminile e cantato in growl, assoli di violino e flauto a sottolineare i momenti più intensi sono i topoi imprescindibili a cui questi ragazzi non sembrano saper rinunciare per buona parte del disco. Episodi particolarmente felici, invece, quelli delle ultime due tracce: Starfire’s Memory, sebbene continui a muoversi nei binari posati precedentemente, riesce a distaccarsene fino ad assumere una connotazione propria, siderale e fredda, mentre la lunga Delay’s Progression parrebbe essere quasi una suite di diversi brani, celati sotto un unico titolo che, rarefatti ed avvolgenti, si annidano nell’ombra pronti a sferrare gli ultimi colpi di coda di una bestia selvatica di arcaica ferocia.

Il disco degli A Forest of Stars è un prodotto di alte potenzialità ma che ha ancora bisogno di essere sgrezzato. La generale tendenza alla monotonia è un grande ostacolo che, però, può essere superato con un po’ d’impegno; a testimonianza di ciò, abbiamo il dittico che viene posto come egregia chiusura di Opportunistic Thieves of Spring. Consideriamolo un ponte verso il futuro ed iniziamo ad aspettare con ansia al varco della fatidica terza prova questi ragazzi: il gruppo inglese ha la potenzialità di diventare una realtà importante nel campo del black metal più sperimentale ma deve trovare la forza di spendere le ultime energie necessarie per compiere il salto di qualità. Come ultima nota, scritta in grafia minuta a bordo pagina, lascio un interrogativo: perché curare così tanto un’estetica tardo ottocentesca quando questa non ha alcun rimando nella musica?

Damiano “kewlar” Fiamin

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Tracklist:

  1. Sorrow’s Impetus
  2. Raven’s Eye View
  3. Summertide’s Approach
  4. Thunder’s Cannonade
  5. Starfire’s Memory
  6. Delay’s Progression

Formazione:

  • Mister Curse – Voce, Doggrel Verse
  • Katheryne, Queen of the Ghosts – Violino, Flauto, Voce
  • The Gentleman – Pianoforte, Tastiere, Percussioni
  • Mr John “The Resurrectionist” Bishop – Batteria, Percussioni
  • Henry Hyde Bronsdon – Chitarra, Voce
  • Mr Titus Lungbutter – Basso
  • Sir Gastrix Grimshaw – Chitarra, Voce

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