Recensione: Organic Hallucinosis

Di Stefano Risso - 18 Febbraio 2006 - 0:00
Organic Hallucinosis
Band: Decapitated
Etichetta:
Genere:
Anno: 2006
Nazione:
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82

Che sorpresa questo Organic Hallucinosis! Devo essere sincero,
non mi sarei mai aspettato dai Decapitated un disco del genere, un lavoro
tanto interessante quanto violento, in cui le enormi potenzialità dei nostri
sono state finalmente espresse nel migliore dei modi. Ormai avevo perso la
fiducia riguardo a questi giovani musicisti, constatando una perseveranza fin
troppo eccessiva nel proporre nei tre dischi precedenti ad Organic
Hallucinosis
un brutal formalmente perfetto, ma privo di quella personalità
da permettere ai polacchi il famigerato salto di qualità. Ora finalmente
possiamo dire che questo salto è stato compiuto.

La ricetta vincente di questo album sta nell’aver miscelato in parti
pressoché uguali il death metal senza compromessi caratteristico della band con
elementi cyber thrash di scuola Meshuggah, donando alle composizioni una
vena industrial, un mood futuristico e un’aurea apocalittica che non fanno altro
che amplificare la furia sprigionata dai nostri. Immaginate riff stoppati,
accenti ritmici sincopati, raffiche impazzite di doppia cassa, strutture
intricate, tutto quanto sparato alla massima velocità, con un uso sapiente di
rallentamenti e ripartenze fulminee da rimanere senza fiato. Tutto quanto è
stato curato nei minimi particolari, una grande tecnica, su cui spicca il lavoro
di Vogg alle chitarre, messa in funzione dell’immediata fruibilità dei
brani. Questo è l’elemento più sorprendente di Horganic Hallucinosis:
nonostante la complessità di alcuni passaggi, i brani rimangono impressi in
memoria molto velocemente, acquistando vigore passaggio dopo passaggio.

L’identità dei Decapitated, nonostante le novità stilistiche
introdotte, rimane definita e ben evidente. Non ci troviamo di fronte ad una
snaturazione del sound o ad una semplice operazione copia/incolla; i nostri
hanno saputo adattare alla perfezione le nuove influenze con il loro brutal
ormai collaudato, che aveva bisogno di una leggera scrollata per poter
finalmente librarsi in tutta la sua potenza. Immediatamente dalla prima traccia,
A Poem About An Old Prison Man, si avverte questa nuova dimensione
industriale, dove dopo un attacco solo all’apparenza “canonico”, la traccia si
sviluppa su coordinate contorte e imprevedibili, mantenendo una linearità
incredibile. Lo stesso dicasi con le seguenti Day 69 e Revelation Of
Existence (the trip)
, dove le chitarre esplorano territori che sembravano
lontanissimi rispetto al “Decapitated sound” a cui eravamo abituati.
Anche il cantato del nuovo arrivato Covan, si adatta al meglio,
abbandonando il profondo growl del predecessore (Sauron) in favore di un
timbro vocale più vicino ad un urlato alla Jens Kidman che ad un cantante
death metal. Un disco che avanza senza interruzioni, snocciolando brani uno
meglio dell’altro, fra gli scenari apocalittici introdotti da Post(?)Organic,
l’incedere trascinante di Flash-B(l)ack e il groove di Invisible
Control
si è come rapiti da tanta chirurgica brutalità riversata contro di
noi.

Non solo pura violenza, ma tantissima cura nel rendere il più coinvolgente ed
organico possibile lo svolgersi del disco, grazie anche ad una produzione
perfetta per il genere proposto. Finalmente il quartetto polacco (da cui ha
preso le distanze recentemente il bassista Martin, sostituito da
Richard Gulczynski
) sembra aver trovato la giusta dimensione e la via per
affermarsi come una delle band migliori della scena. Sicuramente uno dei
migliori dischi dell’anno. Da avere.

Stefano Risso

Tracklist:

  1. A Poem About An Old Prison Man
  2. Day 69
  3. Revelation of Existence (the trip)
  4. Post(?)Organic
  5. Visual Delusion
  6. Flash-B(l)ack
  7. Invisible Control

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