Recensione: Paradise Lost

Di LeatherKnight - 21 Settembre 2002 - 0:00
Paradise Lost
Band: Cirith Ungol
Etichetta:
Genere:
Anno: 1992
Nazione:
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86

Ed ecco che fa la sua comparsa tra le pagine di TrueMetal.it il leggendario “Paradise Lost“, quarto ed ultimo album dei cult heroes californiani Cirith Ungol, nonché straordinaria rarità ricercatissima da collezionisti di mezza Europa e non solo.
A suo tempo, la band ripose in questo disco tutte le speranze ed i sogni per raggiungere finalmente una maggiore notorietà e considerazione (da parte della stampa e dei Metal Kids) che avrebbero già dovuto ricevere diversi anni prima, più che meritatamente, per la loro attitudine ed il valore musicale dei tre dischi precedenti.
Il Fato tuttavia volle imporre nuovi ostacoli alla band: infatti Robert Garven e compagni dovettero registrare l’intero album in situazioni assurde, senza un effettivo interessamento della label nelle recording-sessions né tanto meno un efficace supporto tecnico in studio. Con notevoli sforzi e una grande forza di volontà, i nostri eroi ultimarono come meglio poterono l’incisione dei brani, i quali furono vittime di un mixaggio approssimativo e sicuramente non all’altezza della qualità dei pezzi.

Tutto ciò provoca una gran rabbia…perché “Paradise Lost” è un disco davvero fantastico, che denota chiaramente i progressi stilistici dell’intero gruppo, rinnovato di due quarti per l’occasione da Vernon Green (basso) e Jim Barrazza (chitarra) rispettivamente al posto di Flint e Jerry Floge.

Il disco si apre con l’anthem “Join the Legion” (di cui venne prodotto anche un video dopo qualche tempo), dove gli schizofrenici riffs del nuovo axeman danno inizio a questo poderoso inno, mai scontato e molto coinvolgente nel refrain, dominato dalla spettrale voce di Tim Baker.
La successiva “The Troll” ci riporta alla mente i Cirith Ungol nella loro veste più classica, creando una song cavernosa (come suggerisce il titolo stesso) e oscura, dominata da un refrain devastante per la sua pesantezza e carica evocativa. Segue “Fire“, cover del personaggione della New Wave Arthur Brown; tale rifacimento riesce abbastanza bene di per sé, ma se la volete gustare meglio andate ad ascoltare la versione (mixata dalla band stessa) presente su “Servants of Chaos“. Le cupe atmosfere epic-doom (supportate in special modo dalle sensazionali prestazioni vocali di mr. Baker) si susseguono nelle rimanenti tracks, in cui spuntano qua e là riferimenti ai precedenti lavori dei Cirith Ungol…anche se, c’è ammettere, che l’altissimo standard qualitativo cala un po’ nel mezzo della tracklist. Proprio in questa parte del disco si nota di più la poca compattezza e l’inefficiente dinamicità dei suoni. Rimangono comunque gran belle canzoni, da urlo -ad esempio- “Heaven Helps Us” con un Tim Baker che privilegia cantato “pulito” che mette i brividi per l’espressività eterea e l’inusualità della cosa.

Ma il meglio deve ancora arrivare…ed infatti in settima posizione troviamo l’inizio della saga epico-mistica scritta e composta da Tim Baker in persona, tutta basata sul poema epico “Paradise Lost” di J. Milton.
…la nostra mente ed il nostro cuore sprofondano nelle fiammanti atmosfere epico-apocalittiche della titanica “Chaos Rising“, maestoso brano di “caotico metallo urlante” che costituisce non solo uno dei picchi dell’album, ma uno dei massimi apici della carriera ventennale dei nostri eroi. Potere, magnificenza, grandissimo pathos, magia, violenza sonora, un testo ieratico e un feeling inimmaginabile: elevate tutto ciò al cubo non appena verrete proiettati nel middle del brano…da lì in poi sarà solo una
spietata colata di sangue tra le casse e la vostra scatola cranica. Da ascoltare per credere.
Si arriva così alla cadenzata ed oscura “Fallen Idols“, il passaggio più evocativo e cadenzato dell’album…ottimo preludio per la colossale “Paradise Lost“, forse il brano che più ampliamente può espletare l’anima musicale e non dei Cirith Ungol. Il marchio di fabbrica del gruppo si fa sentire pesantemente grazie alla imprevedibilità del songwritting ed all’oscura epicità delle atmosfere…, dandoci così un addio che suona oggi come un “a mai più”, ma firmando una delle migliori pagine dell’HM anni 90.

Da notare che i brani presenti su “Servants of Chaos” non sono gli stessi che qui compaiono: essi furono registrati in luoghi e circostanze diverse…ed in alcuni casi le canzoni risultano addirittura migliori su “Paradise Lost” che su “Servants…” e viceversa.

Traendo le somme, questo album è una bomba di sano heavy metal epico, dotata di una grandissima potenza sonora e di una deflagrante carica evocativa. Purtroppo, la grandiosità dell’opera deve essere ridimensionata a causa delle rovinose condizioni di registrazione e mixaggio; ecco spiegato il motivo del voto, che ho assegnato con la massima obiettività, cercando in tutti i modi di “reprimere” gli istinti primordiali che il mio stato di fan dei CU mi impone.

Leopoldo “LeatherKnight” Puzielli

1) Join the Legion
2) The Troll
3) Fire
4) Heaven Helps Us
5) Before the Lash
6) Go It Alone
7) Chaos Rising
8) Fallen Idols
9) Paradise Lost

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