Recensione: Patina

Di Francesco Maraglino - 11 Novembre 2018 - 0:51
Patina
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2018
Nazione:
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75

Dopo un lungo periodo di assenza, quattro anni fa il leggendario axeman Jake E. Lee – molto caro a tutti fans dell’ hard’n’heavy per i suoi trascorsi a fianco, tra l’altro, di Ozzy Osbourne e con i suoi grandissimi Badlands – tornò sulla scena rock internazionale con il primo album della sua nuova band, i Red Dragon Cartel.
Il debut album della band mostrava il musicista non più di tanto voltato indietro a guardare con nostalgia il proprio passato artistico, e dedito piuttosto, pur nel rispetto delle proprie personali tradizioni artistiche, ad un hard rock tutto sommato moderno ed up-to-date.

Arriva oggi il seguito di quel discusso ma tutto sommato fortunato debutto, dal titolo “Patina” (prodotto dallo stesso Jake E. Lee con Anthony Esposito e missato da quel Max Norman conosciuto proprio  ai tempi di Ozzy Osbourne, ma che ha lavorato anche con Savatage e Megadeth), e tanti sono i cambiamenti che il nuovo full-length  ci offre.
In primis, è nuova la formazione della band, costituita oggi dal citato Anthony Esposito (ex-Lynch Mob) al basso, Phil Varone (ex-Saigon Kick e Skid Row) alla batteria e da Darren James Smith (Harem Scarem) al canto.
Il suono, poi, pur continuando ad allinearsi a certa modernità heavy, appare maggiormente consacrato alle istanze stilistiche che hanno fatto conoscere ed amare il chitarrista in tempi più “antichi”.

Un esempio di quanto affermato dal vostro recensore? Ecco  Havana, veloce canzone dal sound più legato, rispetto al primo lavoro della band, al genere hard classico e bluesy dei Badlands, soprattutto nei contributi delle chitarre,  pur esibendo un tono vagamente scanzonato nel canto un pò alla David Lee Roth. Sullo stesso percorso, poi, troviamo Crooked Man, un midtempo in cui l’elemento blues è, però, meno mercato.

Pure Chasing Ghosts indulge piacevolmente in un mood da rock classico, ed un particolare in riff ed in un incedere assai “zeppeliniani”; ed altri canoni travasati dalla lezione del “dirigibile” ispirano anche A Painted Heart  (un brano lento che si apre con un arpeggio il quale declina, appunto, le regole espressive dei Led Zep più sognanti e dagli influssi folk), uno tra i brani migliori del disco insieme a Punchclown (molto buona a dispetto della qualifica di bonus track), canzone a tratti lontanamente mediorientaleggiante  ma sempre incentrata su suoni abrasivi di una chitarra che poi si lancia in un assolo di entusiasmante fattura.
 

Speedbag, invece, si ricollega al mix tra classicità e modernità dell’esordio, con il suo hard rock carico del groove incalzante di basso e batteria e contrassegnato dalla voce graffiante e  dal profluvio di lick e assoli della sei-corde del  band-leader.

Affascinano, poi, alcuni brani dalla costruzione e dalle atmosfere più particolari rispetto alle altre del lotto. Ci riferiamo a canzoni come My Beautiful Mess, affidata alla conduzione del basso che delinea un ambiente dai suoni notturni e metropolitani, e Ink & Water, al contrario scanzonato e  divertito del resto, ed in cui i passaggi bluesy sconfinano quasi nella  fusion in una lunga apertura strumentale.

 

“Patina”, in definitiva, è un album robusto, in cui canto e sezione ritmica fanno il loro dovere con perizia e energia, mentre la chitarra resta ovviamente sugli scudi tra riff e assoli, pur senza mai trascendere in eccessivi e narcisistici virtuosismi. La band, così, erige un suono in equilibrio tra moderno rock e classic rock ispirato agli Zeppelin e in linea con lo stile dei Badlands.

La piena soddisfazione del vostro recensore, però, è in parte limitata da una produzione e da un songwriting che, probabilmente per consapevole scelta artistica, appaiono non scintillanti ma come legati ed ingabbiati  in un ambiente vagamente claustrofobico.  L’orientamento più vicino all’hard classico  rispetto all’esordio resta, insomma, comunque immerso in un clima dai con toni cupi ed umbratili, che, a tratti,  non fa decollare del tutto alcuni brani.
Dove questo non succede (in Havana, Punchclown, A Painted Heart  e nella pur crepuscolare My Beautiful Mess), i Red Dragon Cartel danno il meglio di sé, caricandoci di aspettative molto positive sia per i prossimi lavori che per le esibizioni live del combo.

Francesco Maraglino

 

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