Recensione: Pinacles Austères [EP]

Di Nicola Furlan - 20 Settembre 2025 - 3:43
Pinacles Austères [EP]
Band: Ianthin
Etichetta: Hippalectryon
Genere: Avantgarde  Doom 
Anno: 2025
Nazione:
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Un album pazzesco. E lo diciamo subito, senza girarci intorno. Poi, lasciamo a voi decidere come interpretare quel “pazzesco” se nel senso di disturbante, sperimentale, geniale o semplicemente fuori da ogni schema. In ogni caso, è con questa parola che si apre la disamina di “Pinacles Austères”, EP d’esordio della one-man band francese Ianthin, progetto solista di tale J.B. (già in forza ai black metaller d’oltralpe Ergholae Somptator).
Un lavoro schizoide, senza meta apparente, lanciato nel vasto universo della sperimentazione sonora più spinta. Se per avant-garde intendiamo la libera interpretazione della musica, senza vincoli di genere, struttura o aspettative, allora Ianthin ne è una delle incarnazioni più radicali e affascinanti.

“Pinacles Austères” è fatto di contrasti e collisioni: suoni e scelte compositive che sembrano non avere nulla in comune nemmeno sul piano timbrico, eppure riescono a fondersi in qualcosa che ha senso, che funziona e soprattutto che colpisce.
Il collante, se vogliamo trovarne uno, è una forte matrice doom-oriented, che attraversa l’EP con passaggi pesanti, lenti, opprimenti. È però la capacità dell’autore di frantumare ogni logica di ascolto stabile a lasciare il segno: è una creatività distorta, malvagia, insensibile (in senso artistico) che disorienta e affascina al tempo stesso. Ovvio, un po’ di sbilanciamento c’è in chi osa, ma si percepisce coerenza e sostanza artistica, forse ancora in forma embrionale, ma assai interessante.

I suoni sono volutamente lo-fi, ma pienamente funzionali al contesto. Le voci scream e clean dialogano costantemente, integrandosi in un tessuto musicale inquieto, schizofrenico che crea ambienti claustrofobici, carichi di tensione anche nei momenti più eterei o apparentemente distesi.
Il disco è, dichiaratamente, una riflessione poetica e simbolica sul ciclo della disperazione e della rinascita. Una colonna sonora dell’isolamento, della perdita del controllo, della discesa nella follia, costruita su immagini naturali e visioni esistenziali. Ogni nota, ogni pausa, ogni urlo sembra uscire da un’esperienza interiore, allucinata, disturbante.
Un esordio decisamente atipico nel panorama e proprio per questo interessantissimo. Ianthin è un nome da tenere d’occhio.

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