Recensione: Psychosphere

Di Alessio Gregori - 13 Giugno 2016 - 10:00
Psychosphere
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 1999
Nazione:
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80

Nostalgici dei Queensrÿche dei vecchi tempi accorrete: se ancora non conoscete gli House Of Spirits leggete questa recensione, sarà una gradita sorpresa. Era il 1999 quando un gruppo tedesco sostanzialmente sconosciuto pubblicò un lavoro tanto semplice ed essenziale quanto ben fatto e piacevole, dal titolo Psychosphere. All’epoca l’ambito melodic metal/prog metal era ancora molto legato ai suoi mostri sacri ed era difficile per i fan più sfegatati trovare delle alternative valide, specialmente da quando Geoff Tate e soci decisero di intraprendere una strada alternativa.  E così anche per il sottoscritto, il fatto di essere venuto a conoscenza di una nuova proposta che sembrava, a detta dei critici dell’epoca, partorita addirittura dalla mente di De Garmo, era sembrata un’occasione imperdibile, una boccata di aria fresca.

Devo ammettere che a distanza di tanti anni, Psychosphere rappresenta ancora oggi una gemma rara e un album da riscoprire assolutamente. Quello che stupisce è il fatto che pochi gruppi si siano effettivamente cimentati nel tentativo di rendere omaggio ai capolavori della nota band di Seattle, costringendo gli amanti di certe sonorità a dover cercare continuamente nel passato. Ancor peggio è il sapere che dopo quest’album gli House Of Spirits, nonostante il successo ottenuto, spariranno dalle scene senza lasciare traccia. Va comunque sottolineato che questa non fu l’unica uscita dei tedeschi che infatti nel 1994 avevano già pubblicato Turn Of The Tide, disco anch’esso degno di nota ma forse ancora troppo acerbo, tuttavia abbastanza interessante da essere notato dalla major Century Media, che non si fece scappare l’occasione di inserire nel proprio roaster questi promettenti ragazzi e di pubblicare il loro secondo lavoro.

Il primo aspetto che colpisce di Psychosphere è indubbiamente la voce del cantante Olaf Bilic, capace di trasmettere personalità a tutte le composizioni. Il suo timbro ricorda vagamente quello di Tate, soprattutto nelle basse tonalità e seppur incapace di raggiungere certe vette vocali, risulta gradevole in tutte le composizioni, dando spessore e risultando fondamentale nelle parti più melodiche e intense.  L’album si apre con “Take Me To The Other Side”, canzone che ci teletrasporta subito nelle atmosfere tipiche di Operation Mindcrime, con tutti i limiti del caso, ma il paragone diventa inevitabile quando parte il coro del refrain: un volta che entra in testa non c’è modo di farlo uscire, davvero geniale nella sua immediatezza e di facile presa. La successiva “Back on My Own” ha un ritmo più veloce e l’anima di De Garmo aleggia come se fosse ospite nella realizzazione del pezzo, specialmente nella parte centrale, dove si alternano momenti intensi e acustici a improvvise accelerazioni.  Insomma un vero susseguirsi di emozioni in solo quattro minuti e mezzo.
L’incipit di “History is Repeating” rende praticamente omaggio ai Queensrÿche, i possibili riferimenti a questa o a quest’altra canzone di Tate e soci sono tanti ma senza cadere mai nell’emulazione. Bisogna ammettere che proprio in questo sta la bravura dei tedeschi, nel fatto cioè di rifarsi a certe sonorità tipiche degli americani mettendoci però sempre del proprio. La successiva “World Full Of Pain” starebbe benissimo in Promised Land, eppure non c’è nemmeno una nota che farebbe pensare a una semplice cover. Provate a fare un confronto: è impossibile trovare delle somiglianze sfacciate eppure l’atmosfera e i cori rimandano inevitabilmente a quell’opera memorabile. Il discorso continua e non ci sono cali: il refrain di “Voice Of My Heart” vi rapirà in un secondo, semplice, immediato, perfetto. “Save The Secret” è quasi ipnotica , “Oblivion Night” è un’altra sicura hit prog, “Back at The Double” va ascoltata con la giusta predisposizione in quanto riporta subito la mente a capolavori del calibro di “The Mission” o “Breaking The Silence” ….

Che altro dire, se siete alla ricerca di rimembranze dei vecchi successi dei Queensrÿche, questo album vi piacerà fin dal primo ascolto e non vi stancherà mai. Se invece siete semplicemente interessati a scoprire un buon gruppo prog metal del passato, questa è una buona occasione da non lasciarsi scappare.

 

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