Recensione: Quantum Leap

Di Edoardo Rassatti - 14 Dicembre 2021 - 10:26
Quantum Leap
Band: Gus G.
Etichetta: AFM Records
Genere: Shred 
Anno: 2021
Nazione:
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60

Tra tutti i chitarristi del panorama heavy metal odierno Gus G, appena tornato in pista con il nuovo Quantum Leap, è sicuramente uno dei più oltranzisti. Difensore di uno stile e di un fraseggio che resiste con coraggio alla prova del tempo, in barba ai continui (e a tratti estremi) mutamenti del concetto di shred guitar e alla stravaganza stilistica dei suoi svariati esponenti. 

Dagli esordi con Mystic Prophecy, Nightrage e Dream Evil, l’ascia di Kostantinos Karamitroudis, in arte Gus G, è sempre stata al servizio di un riffing heavy metal potente e affilato. Di un solismo strabiliante, alzando l’asticella della qualità su alcune release memorabili come “Dragonslayer”, primo e apprezzatissimo album dei succitati Dream Evil

Ciò che abbiamo di fronte ora è l’ultimo frutto di una carriera lunga, estremamente variegata ma, ahimè, ultimamente un po’ stanca. Questa quarta release completamente strumentale da solista esce sulla coda del successo dell’undicesimo album in studio per il suo personalissimo progetto Firewind (2020). Ma laddove quest’ultima uscita rappresentava il più canonico heavy metal, molto riff oriented, ricco di solismi pregiati oltre che ispiratissimi e gasato dalla graffiante voce di Herbie Langhans (Sinbreed, Avantasia), l’ultima fatica in solitaria per lo shredder greco sposa (o  quantomeno cerca di sposare) tutte le sue più disparate influenze chitarristiche. Cercando di  giostrarsi fra sonorità anche piuttosto distanti fra loro e tentando di amalgamarle in un unico calderone. 

Ne è un esempio il primo brano, Into the Unknown. Opener non proprio azzeccatissima, dall’incedere spento e quasi sottotono, lontana dallo stile graffiante di mr. Kostas. Che strizza  l’occhio all’ultimo Satriani, con un riffing molto ottantiano e una melodia nel chorus che sembra estratta nota per nota dalle produzioni più recenti di quest’ultimo. A seguire Exosphere, dove il  nostro si lancia in un riffing moderno, ma si perde presto in un discorso a tratti inconcludente e  insipido.  

La terza traccia, Quantum Leap, riesce finalmente a costruire una narrativa convincente su un  tessuto melodico privo di fronzoli. Una struttura articolata e piacevolmente variegata esalta finalmente la vera e sola voce del disco: la chitarra di Gus G. Che esplode in un assolo gustoso,  relativamente breve e perfettamente inserito nel contesto. Il greco abbandona per un momento lo shred più feroce, e a tratti puramente onanistico, per dedicarsi a un sano esercizio di songwriting.

Chronestesia, quarta traccia dell’album, ci porta di peso su territori classic heavy, ma con  un’inaspettata strizzata d’occhio alle atmosfere care ai primi Dream Theater nel cuore del brano. Anche in questo caso la varietà e la stratificazione della narrazione stupiscono piacevolmente. Colpisce anche la ricca Enigma of Life, contornata da un piacevole video, con soluzioni melodiche e fraseggi che a tratti richiamano il più ispirato Marty Friedman. Un bellissimo mid-tempo dove  l’elettrico e l’acustico si dividono equamente le luci del palcoscenico.  

L’idillio però dura poco, la successiva Judgement Day è costruita su uno statico riff su chitarra a  sette corde, una novità nella prolifica produzione discografica di Gus G. Difatti, purtroppo, il  discorso stenta a decollare. Il brano, relativamente breve, non dichiara pienamente i suoi intenti e si  perde in strizzate d’occhio al Jeff Loomis di Sybilline Origin

Fierce al contrario è davvero feroce. Settima traccia dell’album ci dà un ritratto del Gus G di sempre: veloce, arrabbiato e granitico. Il riff portante è un furgone carico di odio con un mattone piantato sull’acceleratore. Un ricordo dei bei tempi di Days of Defiance, dei suoi Firewind. Il solismo strizza l’occhio con un fraseggio pescato da Fire and the Fury, lo storico primo exploit da solista di  mr. Karamitroudis

Demon Stomp ci fa tornare nei territori del già sentito, il brano non trasmette l’idea di un discorso pienamente convincente e ispirato.

Possiamo dire lo stesso per Night Driver, che si fa trascinare da un synth anni ’80 terzinato. Già solamente l’ennesimo richiamo all’estetica artefatta di un decennio oramai mitizzato fa venire voglia di cambiare traccia. Fortunatamente il brano dura molto poco ed è dimenticabile. Giorgio Moroder può tornare a dormire sonni tranquilli. 

Chiudiamo l’ascolto con una sorpresa: Not Forgotten stupisce, non per originalità del fraseggio o per varietà, quanto per ispirazione. Gus G costruisce un piacevole tessuto melodico, ricco e sognante. In coda troviamo una bonus track, l’ottima Force Majeure, brano estremamente convincente dove il  nostro duetta con un redivivo Vinnie Moore per una parentesi molto godibile che manderà in visibilio tutti i cultori della chitarra shred. 

Ci sono dei grandi e incolmabili buchi in questa release, evidenti cali nel songwriting di un’artista eccezionalmente prolisso e indubbiamente padrone del proprio mezzo espressivo. Nell’economia  globale del disco queste lacune purtroppo pesano eccome, rallentano l’ascolto e lasciano un senso di vuoto, di dimenticabile. Il risultato è confuso e sparso, con parentesi di puro virtuosismo che stancano anche un estimatore di lungo corso come il sottoscritto. Uno sforzo francamente sterile che rimane ben lontano dalle reali capacità compositive dell’ex chitarrista di Ozzy Osbourne, molto più  a suo agio in un contesto corale come può essere quello di una band al completo.

Pagina Facebook ufficiale: https://www.facebook.com/officialgusg

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