Recensione: Queen Of Thieves

Di divino marchese - 4 Ottobre 2006 - 0:00
Queen Of Thieves
Band: Taramis
Etichetta:
Genere:
Anno: 1988
Nazione:
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88

I Taramis erano una misconosciuta band australiana dedita ad un HM d’intenzioni epiche derivato da Iron Maiden e Manowar in primis tanto quanto da Us power e NWOBHM più in generale.
Furono autori di due album, dei quali è qui recensito il primo, purtroppo rimasti ignorati dalla maggior parte dei metalheads. Una trascuratezza ingiustificata se consideriamo l’immensa mole artistica dello stupefacente full lenght qui in analisi.
La danza propiziatoria che induce le armate alla razzia è aperta da una citazione della celeberrima quanto stracitata Fur Elise di Beethoven, che si dischiude in Lord of the Blackfields, una cavalcata marziale, compressa, forte di una tensione subito intensa dove le vocals di Shane Southby intonano un canto di drammatico orgoglio, su una ritmica articolata e freneticamente barbarica.
Un riff che riecheggia la NWOBHM più oscura e diabolica avanza lungo lo schiacciante asse di Doesn’t Seem, insistente e maniacale, con pochi ma efficaci cambi d’incedere dove a farla da padroni sono l’epilettica prestazione del singer e la furibonda essenzialità della chitarra.
The Chosen è pregna di una torbida riflessività che ricorda gli anni d’oro della Vergine di Ferro, specie nell’intermezzo arpeggiato che sembra narrare un incubo inconfessabile, prima che la chitarra di Craig Robertson chiuda questa atmosfera sospesa con i suoi ultimi graffi.
Un vago arpeggio intimidatorio fracassato da un riff ossessivo annuncia Path To Aquilonia, e la memoria inevitabilmente riconduce le coordinate stilistiche ad un distruttivo melange di Iron Maiden e Manowar, sorretto da un Dave Browne guerrafondaio e crudele. Nulla dell’arcaico fascino delle diverse atmosfere dell’epic metal primigenio viene lasciato fuori da questo scenario eroico, e la voce di Shane Southby, ricca di pathos, prontamente ci guida al deflagrante sconquasso finale.
Un sinistro arpeggio inaugura la title-track, anch’esso mortale e ossianico incubo partorito in uno scenario strumentale ricco di accelerazioni maideniane e truculenti stop and go, riffs ora opprimenti ora fendenti, un cantato dittatoriale e una ritmica omicida, galoppante, tribale, devastatrice.
Without Warning si presenta con un arpeggio spezzato dall’urlo del vocalist prontamente rivolto a narrare spettrali intonazioni in un efficace intreccio di parti evocative e altre più violente, in un clima da dramma medievale.
Gli inquietanti ululati dei lupi precedono il riff militaresco di Wolves, impreziosito da iniezioni di melodia da parte della chitarra: il brano incalza successivamente a ripetizione, sostenuto dalla batteria incontenibile di Browne, quasi un rito notturno tra neri boschi fiabeschi.
L’ultimo brano del lotto, My Life, è un riuscitissimo compendio d’intenzioni maideniane, romanticismo d’oscure atmosfere Strum und Drag, evocazioni acustiche di un’emotività non mediata, viscerale, e ritmiche contenute quasi accompagnino un’apparizione onirica.

Senza dubbi di merito, mi sento di annoverarlo tra i migliori epic metal albums di sempre, gravido di emozioni attraenti, ora sussurrate ora soprattutto condotte in un perfetto clima da sferzante attacco predone. Se riuscite a trovarlo, prendetelo senza pensarci un attimo, perché avrete davanti un quasi capolavoro.

Marco “Divino Marchese” Priulla

Tracklist:

1. Lord Of The Blackfields
2. Doesn’t Seem
3. The Chosen
4. Path To Aquilonia
5. Queen Of Thieves
6. Without Warning
7. Wolves
8. My Life

Musicisti:

Shane Southby – vocals
Craig Robertson – guitars
Dave Browne – drums
Danny Komorr – bass.

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