Recensione: R.I.P.

Di Orso Comellini - 3 Dicembre 2010 - 0:00
R.I.P.
Band: Coroner
Etichetta:
Genere:
Anno: 1987
Nazione:
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80

I Coroner sono una seminale band formatasi a Zurigo (Svizzera) nel 1985, dedita a un techno-thrash di matrice europea con forti tinte neoclassiche e, in alcuni frangenti, prog. Una nascita sulla scia dei connazionali Celtic Frost, per i quali facevano i roadies, grazie all’ausilio del leader di questi ultimi Tom G. Warrior.

La formazione degli svizzeri è rimasta sempre la stessa: Ron Royce alla voce/basso, Tommy T. Baron alla chitarra e Marquis Marky dietro alle pelli. Dopo circa dieci anni di onorata carriera e cinque album in studio – capaci di consacrarli come vera e propria band di culto – si sono sciolti non avendo mai raggiunto egual fama e gloria dei vari gruppi Bay Area style; con una proposta sonora differente sì, ma senza avere niente da invidiare a quella scena, soprattutto dal punto di vista tecnico/compositivo. Il 2010, però, è stato l’anno del loro ritorno, anche se probabilmente solo per partecipare ad alcuni dei più prestigiosi festival estivi 2011 … chi vivrà, vedrà!

Quando detto fino a ora mi porta quindi a parlare di quello che è stato il loro disco di debutto intitolato “R.I.P.” e uscito nel 1987, fondamentale per comprendere al meglio l’evoluzione del progetto Coroner nei full-length successivi.
Ma entriamo nel dettaglio partendo dalla copertina, principalmente nera con al centro l’immagine deformata dall’obiettivo di un cimitero, senza però colori, ma con varie tonalità di giallo (così come il logo). Preludio a quella che è l’atmosfera macabra dell’album e alle tematiche affrontate nei testi, incentrate principalmente su Vita e Morte. Anche la produzione (a oggi forse un po’ datata), affidata a Harris Johns negli studi Music Lab di Berlino, rispecchia quanto detto della copertina e delle liriche, con un suono volutamente «freddo» e incolore, ma che permette di distinguere bene tutti gli strumenti.

Si parte quindi col primo dei tre intro (“Intro”) dell’album, affidato al piano, che sfocia in una sfuriata thrash senza compromessi, intitolata “Reborn Through Hate”. Nonostante la palpabile aggressività della canzone, il ritornello vi si stamperà in testa fin dal primo ascolto! Talvolta i riff citano quelli tipici della NWOBHM, anche se suonati a una velocità notevole. Si passa poi a “When Angels Die”, dove la voce secca e rabbiosa di Ron Royce affronta i temi tipici del genere, influenzati ancora dalla Guerra Fredda e dalla possibilità non troppo remota – ai tempi – di una guerra nucleare con conseguenze disastrose sull’ambiente e sulle generazioni a venire. Una canzone musicalmente più cadenzata e simile a quanto proposto dai Celtic Frost con tinteggiature black e gothic, pur nel rispetto del «Coroner-style». Un solo di chitarra (in sottofondo rumori di guerra) fa da incipit (“Intro (Nosferatu)”) allo strumentale dell’album, dove si possono apprezzare le ottime doti tecniche del trio, in particolare di Tommy T. Baron con la sei corde; il quale ci regala dei pregevoli soli dal gusto neoclassico in stile «malmsteeniano». Ma anche il drumming di Marquis Marky non è da sottovalutare: una sorta di Clive Burr del thrash. Si riparte subito con “Suicide Command”, song leggermente più breve del loro standard ma intensa e farcita di molti soli, poi “Spiral Dream” (presente nella versione CD) scritta da Tom G. Warrior, che comunque non si discosta molto dal seminato essendo apprezzabile soprattutto per la parte centrale con vari stop’n’go e cambi di tempo. All’orizzonte si profilano, tuttavia, quei due capolavori che sono la title-track e “Coma”, dove le atmosfere rarefatte della musica si combinano bene con le lyrics: «Is this reality? Or is it just a dream» intona il protagonista di “R.I.P.” prima di realizzare di essere morto e ormai sepolto, stringendo in mano un mazzo di fiori in putrefazione … mentre in “Coma” si parla di un tema non certo facile come l’eutanasia, senza che si scsada nella banalità. “Fried Alive”, pur non aggiungendo nulla di nuovo, non scade nella noia; mantenendo sempre alto il livello di tensione prima della parte finale, con l’ultimo intro (“Intro (Totentanz)”) ispirato al compositore Robert De Visee (1660 ÷ 1720) e “Totentanz”, canzone da headbanging, meno articolata e più diretta.

Infine, un “Outro” breve che conclude in maniera quasi epica un disco che consiglio a tutti gli amanti del genere e non solo, così come tutta la loro discografia!

Orso “Orso80” Comellini

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Track-list:
1. Intro 1:23    
2. Reborn Through Hate 4:53    
3. When Angels Die 4:41    
4. Intro (Nosferatu) 1:12    
5. Nosferatu 3:34    
6. Suicide Command 4:20    
7. R.I.P. 5:36    
8. Coma 4:15    
9. Fried Alive 4:40    
10. Intro (Totentanz) 0:52    
11. Totentanz 4:13    
12. Outro 1:15

All tracks 41 min. ca.

Line-up:
Tommy T. Baron – Guitar
Ron Royce – Bass, Vocals
Marquis Marky – Drums

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