Recensione: Rat King

Di Daniele D'Adamo - 12 Luglio 2019 - 2:00
Rat King
Band: Pathetic
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2019
Nazione:
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60

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Dal Canada arrivano freschi freschi (si fa per dire, dato il genere) i Pathetic con il loro debut-album “Rat King”. Un lavoro autoprodotto, benché distribuito in tutto il Mondo dalla Qabar – Extreme Music PR, distante quattro anni dalla loro data di nascita e che segue la pubblicazione dei soliti EP, split, singoli, ecc., realizzati allo scopo di prepararsi al grande salto.

Il combo di Calgary produce death metal, in una versione palesemente incrociata con il D-beat. Cioè, con i ritmi tipici dell’hardcore punk traghettati al metal derivati, si dice – a ragione, secondo chi scrive – addirittura dai Motörhead. A dire il vero il D-beat è nato e si è sviluppato in Svezia, per poi evolversi verso il cosiddetto crust ma, alla fine dei conti, si tratta più di un ingrediente che di una pietanza.

Un qualcosa che aiuta, in questo specifico caso, il death metal a elaborare una propaggine ben formata, ben individuabile, dai dettami stilistici semplici e lineari ma non per questo insufficiente a scrivere buone song. E, soprattutto, a mettere a fuoco uno stile che sia identificabile senza troppe difficoltà. Insomma, alla fine la storia è la stessa: ciò che conta, in una band, metal o non metal, è la capacità di esprimersi in maniera personale, sì da mostrare una faccia riconoscibile ai più.

Focus del tutto, pertanto, è la batteria, la cui produzione, in “Rat King” è apparentemente troppo scarna e insufficiente a dare l’idea di un prodotto professionale. Tuttavia, se si riflette sul significato del D-beat, alla fine si può considerare che essa sia appositamente naturale. Così suona, così esce dagli speakers. Per regalare a chi ascolta quella sensazione di… secchezza tipica del ridetto crust, evoluzione finale che tiene conto sia del death metal, rigorosamente ortodosso, e del D-beat a esso applicato.

Responsabile primario del suono del terzetto dell’Alberta è AJ Kovar, un po’ il factotum del caso, che suona chitarra e basso ma, soprattutto, imprime alla linee vocali un tono di growling assolutamente centrato, da cui deriva la potente sensazione di… death metal che, alla fin fine, è segno caratteristico primario del terzetto medesimo.

Un segno caratteristico fortemente influenzato dai maestri del blackened death metal sia del Nord, sia del Sud America, per un mood, quindi, tetro, oscuro, buio, in ciò aiutato dagli inserimenti ambient che richiamano riti orridi e blasfemi.

Così, con una perizia difficile da individuare con immediatezza, i Nostri riescono a mettere su uno stile che non trova molti riscontri, in giro. Certo si può comprendere, da quanto più su evidenziato, che non esistono poi così tanti gruppi a proporre della musica del tutto priva di melodia, secca, dissonante, a tratti addirittura fastidiosa per una costruzione armonica lontana anni luce dal termine accattivante. I Pathetic se ne fanno un baffo, di piacere o non piacere alla gente. Sciorinano il loro stile aggressivo e pieno di riff, nonché di accelerazioni che bucano la barriera dei blast-beats (‘The Fatal Charade’), con il basso dello stesso Kovar a rombare con prepotenza ma in sottofondo, amalgamandosi con il resto del suono.

Le song non mostrano però grandi trovate, rappresentando pertanto un punto debole di notevole entità artistica. Esso fanno molta fatica a differenziarsi le une dalle altre o, meglio, a emergere da uno stile che, probabilmente per definizione, non riesce a produrre episodi davvero interessanti. Occorre dire, a ogni modo, che quando sale dalle profondità cavernose il D-beat, mostrandosi in tutto il suo essere, il tutto diviene – quasi per magia – degno di menzione (‘Going Postal’).

In linea generale, tuttavia, “Rat King” è un’opera che mostra presto la corda. La mancanza di trovate che possano innalzare il livello qualitativo dei vari brani la fa da padrone, con che diventa assolutamente impossibile pensare ai Pathetic come a degli innovatori o a qualcosa di simile.

La sufficienza c’è, anche per la passione che trabocca in ogni dove, ma nulla più.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

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