Recensione: Reader of the Runes – Divination

Di Stefano Usardi - 25 Agosto 2019 - 10:00
Reader of the Runes – Divination
Band: Elvenking
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2019
Nazione:
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82

Avevo lasciato gli Elvenking a godersi il meritato successo di “Secrets of the Magick Grimoire”, un album che, pur non inventando nulla, riusciva a limare le poche asperità rimaste nel suono dell’italica compagine creando un unicum intenso e sfaccettato, sempre all’insegna del power metal sporcato di folk che i nostri ormai conoscono a menadito; oggi, due anni dopo, li ritrovo col loro nuovo album, in uscita a giorni e introdotto da una copertina che dire affascinante è dire poco. “Reader of the Runes – Divination” segna un passo importante per il gruppo: prima di tutto perché i nostri raggiungono il traguardo del decimo album da studio; in secondo luogo, perché questo concept album rappresenta il prologo di una nuova storia – ambientata in un mondo fittizio creato dal gruppo – che ci terrà compagnia per un bel po’ di tempo, sviluppandosi attraverso i prossimi lavori di Damnagoras e soci. Nella fattispecie, “Reader of the Runes – Divination” ha il compito di stabilire i contorni del mondo in cui si muovono i personaggi principali che incontreremo nella storia. Forse proprio per questo motivo la creazione di atmosfere particolari diventa preminente nel lavoro dei nostri, che alle solite cavalcate affiancano inserti maggiormente meditativi, miscelando sporadicamente le caratteristiche ben note con elementi per loro meno convenzionali: ecco quindi che malinconia, oscurità, furore e un certo senso narrativo screziano il tessuto sonoro per rappresentare al meglio le battute iniziali di una nuova storia, donando al tutto un respiro al tempo stesso torvo e maestoso. Pollice alto anche per la produzione, che crea un manto sonoro compatto e avvolgente senza cedere troppo all’eccesso di enfasi bombastica.

Si inizia con “Perthro”, intro dall’appeal fosco e rituale che segue un crescendo interessante ma a mio avviso del tutto superflua, soprattutto in considerazione dell’attacco della traccia successiva, “Heathen Divine”, totalmente slegato dalla sua atmosfera oscura. Qui, infatti, un dolce arpeggio apre a una solida cavalcata dai toni propositivi in cui ogni elemento si piazza esattamente al suo posto senza sopravanzare gli altri, creando un vortice sonoro ottimamente bilanciato tra melodia, cori e un pizzico di trionfalismo. Si prosegue sugli stessi binari con “Divination”, in cui melodie di violino dettano i tempi guidando l’assalto delle chitarre, con la voce di Damnagoras che, come già successo nell’album precedente, si fonde ottimamente col comparto strumentale. I ritmi sono leggermente più pacati rispetto all’opener, e ciò permette ai nostri di spingere un po’ di più sulle melodie d’assalto screziandole, però, con passaggi maggiormente atmosferici per stemperare la carica solare (comunque piuttosto accentuata) del pezzo. “Silverseal” è il classico pezzo Elvenking: strofa lenta e nervosa che esplode poi nel coro e nel ritornello trionfale. Il tasso di coinvolgimento del pezzo si alza col procedere del minutaggio, che raggiunge il suo apice nella seconda metà. Un intro di piano e chitarra acustica apre “The Misfortune of Virtue”, che poi si sviluppa nella solita traccia robusta e dall’alto tasso di coinvolgimento che stavolta si screzia, però, di melodie pacate e dai toni bucolici. Il rallentamento che ospita l’assolo concede un attimo di riposo, consentendo ai nostri di indugiare su toni narrativi e velatamente eroici che, in un attimo, tornano alla melodia di piano che aveva aperto il pezzo e conduce al climax finale. Una delicata melodia d’arpa apre invece “Eternal Elanor”, che in breve si tramuta in un’affascinante traccia dai toni agresti; la canzone si mantiene su ritmi e velocità più contenuti, spandendo nell’aria un intenso profumo folk e stemperando la carica più tipicamente power che finora ha dominato la scena. Con “Diamonds in the Night” si prosegue lungo i binari delle melodie dolci e pacate – che peraltro ritroveremo più avanti – per un breve intermezzo acustico in cui i sussurri di Damnagoras aprono la strada alla successiva “Under the Sign of a Black Star”. Qui le chitarre tornano a ringhiare, confezionando una marcia lenta ed accattivante in cui un pacato trionfalismo dona il giusto tiro senza bisogno di strafare. L’attacco di “Malefica Doctrine” lascia spiazzati: cori possenti e melodie accostabili al black cedono ben presto il posto a una traccia più canonica nel suo sviluppo, pur mantenendo una certa aggressività di fondo e passaggi ben più ruvidi di quanto sentito finora. La sezione strumentale più rockeggiante apre ad un nuovo indurimento del suono, prima del ritorno alle melodie solari che traghettano al solenne coro finale. Melodie folkeggianti aprono “Sic Semper Tyrannis”, in cui si torna a respirare aria di vecchi tempi con un pezzo ritmato e saltellante dalla doppia natura, in cui le melodie sembrano tendere a una certa giocosità mentre l’attitudine complessiva rimane più agguerrita. Con “Warden of the Bane” si passa, dopo un incipit poderoso, a un’altra traccia scandita, in cui la tensione si carica durante la strofa per esplodere nel ponte più vigoroso e nel ritornello finalmente solare. Ottimo l’ingresso in scena dei cori, che donano la giusta consistenza e radiosità alle melodie. Bella anche la sezione strumentale che, guidata dal violino, dona una spruzzatina folk all’amalgama prima del finale più enfatico. Chiude l’album la quasi title-track: “Reader of the Runes – Book I” si apre con un delicato arpeggio che in un attimo cede posto a una robusta melodia più bucolica. La traccia, di quasi undici minuti, giostra abilmente tra parti più scandite (in cui si richiama prepotentemente “Diamonds in the Night”), fraseggi magniloquenti, cori eroici e inserimenti dal profumo agreste. L’intermezzo acustico centrale apre a una melodia insinuante ed enfatica al tempo stesso, mentre i cori lavorano sottotraccia prima dell’accelerazione e del conseguente indurimento del suono, in cui si incastona il rapido assolo. Un nuovo rallentamento acustico dal retrogusto carico di pathos riapre alla melodia di “Diamonds…”, che si sviluppa in modo più corposo fino alla chiusura sfumata.

Al termine dell’ascolto non posso che dirmi decisamente soddisfatto: “Reader of the Runes – Divination” è un album che qualcuno potrebbe anche chiamare “di mestiere” , procedendo per buona parte del suo minutaggio senza discostarsi dalle coordinate che il gruppo ha codificato tempo fa, ma che ciò nondimeno non esita ad inserire sporadici elementi di novità nel suo amalgama; questo, unito all’evidente passione che il gruppo ha infuso in esso, rende “Reader of the Runes – Divination” un album solidissimo, avvincente e maturo, forse addirittura superiore al suo già ottimo predecessore. Complimenti.

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