Recensione: Reaping What is Left

Di Stefano Usardi - 27 Luglio 2018 - 10:00
Reaping What is Left
Band: Deathstorm
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 2018
Nazione:
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73

Per un attimo ammetto di essere rimasto perplesso: tutta colpa dell’intro “The Reaping”, che con i suoi arpeggi delicati e soffici mi aveva fatto immaginare di trovarmi dinnanzi a tutto un altro genere di album. E invece no: proprio quando stavo per cedere al morbido (seppur velatamente inquieto) mood iniziale dal vago sentore di Tangerine Dream ecco che i Deathstorm, compagine austriaca attiva da una decina d’anni – anche se fino al 2010 si chiamavano Damage – e giunta con questo “Reaping What is Left” al terzo full length, entrano in scena in tutto il loro burrascoso e agguerrito splendore. La ricetta è semplice e assolutamente funzionale all’obiettivo che i nostri quattro transalpini si prefiggono, e cioè trapanare i padiglioni auricolari dell’ascoltatore col loro thrash metal tutto velocità, frenesia e, in ultima analisi, malvagità musicale di chiarissima impostazione slayeriana (i rimandi al quartetto di Huntington Beach sono piuttosto palesi, come pure quelli ai primi lavori di Kreator e Sodom). Tutto, qui dentro – dai riff, agli assoli, alla verve isterica del cantante, alla scelta dei tempi e delle dissonanze, alle tessiture chitarristiche – riverbera i lavori del gruppo di Tom e Kerry in modo talmente opprimente da rasentare il tributo, e se in un gruppo alle prime armi ciò può essere accettato tirando in ballo le influenze, i modelli giovanili e la ricerca di un proprio posto nel mondo metallico, dinnanzi ad un gruppo attivo già da diversi anni e con tre album all’attivo lo stesso approccio può creare qualche perplessità. Ad ogni modo dopo la già citata intro, che peraltro a causa della sua fortissima carica evocativa mi piace molto nonostante il suo essere completamente fuori contesto col resto dell’album, bastano pochissimi secondi all’opener “Agent of Dismay” per capire che i nostri amici vogliono radere al suolo tutto. Riff rapidi e taglienti si accompagnano a una sezione ritmica precisa e martellante che mantiene le fila del discorso anche durante le improvvise accelerazioni e i rallentamenti più groove (ascoltate quello centrale e ditemi che non vi sembra un medley di tributo ad alcuni celebri cavalli di battaglia degli odiati da dio), mentre Marco si frusta le corde vocali per imitare il suo nume tutelare Tom. “Predatory Kill” avanza furiosa col piglio caotico dei primi Kreator, affiancando alla notevole furia esecutiva un maggiore rigore chitarristico e la solita isteria vocale; anche in questo caso il rallentamento centrale serve per prendere lo slancio in vista di un nuovo salto nel baratro dei riff in vista del finale. “Ossuary Darkness”, invece, parte lenta, scandita, minacciosa. L’illusione dura meno di un minuto, quanto basta al resto del gruppo per tornare dalla pausa pranzo e ricominciare a picchiare, ma va detto che, al netto delle tipiche accelerazioni che incendiano il genere e che ritroviamo copiosamente anche qui, la traccia si muove su velocità e ritmi meno funambolici e maggiormente quadrati, consentendo alla voce un approccio più contenuto o, al limite, meno nevrotico. Quasi a volersi scusare per la traccia precedente e le sue velocità relativamente mosce, ecco che arriva la mazzata “Hallowed Ground”, meno di tre minuti di schioccanti frustate dispensate a pieno regime. Si prosegue sullo stesso tono anche con la rabbiosa “By Sword, by Pick, by Axe”, in cui la proposta del quartetto si fa decisamente martellante e la verve vocale di Marcus si screzia di incalzante follia; il solito rallentamento centrale dona un po’ di respiro, trascinandosi stavolta fin quasi alla fine della traccia prima di cedere di nuovo il passo ai ritmi schiacciasassi a cui i Deathstorm ci hanno abituato. L’attacco di “Unholy Lamentations” riecheggia vagamente la pioggia di sangue di Slayeriana memoria, prima di sviluppparsi sotto la forma dell’ennesima traccia furibonda che, a metà strada, decide di dedicarsi al groove anthemico rallentando sensibilmente i ritmi, almeno fino al solito finale sparato a mille. “G.R.L.” (Genesee River Lust) si tinge di minacciosa bellicosità per tornare a riflettere l’amore degli austriaci per le scelte concettuali dei loro padri putativi e rendere omaggio (si fa per dire) ad Arthur Shawcross, serial killer morto verso la fine del 2008; la canzone, dopo un inizio scandito e oscuro, inizia a saltellare tra velocità diverse, prendendo corpo e sfruttando le rapide accelerazioni per spezzare il mood quasi malinconico che si affaccia di tanto in tanto sulla composizione. Chiude l’album “Dying Insane”, traccia insistita, diretta e assillante che conclude degnamente un album solido, furente, molto ben suonato e decisamente coinvolgente, ma il cui principale problema risiede nel suo essere assolutamente derivativo in ogni suo aspetto. Certo, se amate il thrash metal più veloce e violento questo “Reaping What is Left” vi potrebbe esaltare non poco, soprattutto se siete die–hard fans degli Slayer, ma potreste anche decidere che, in fondo, non vale la pena di acquistare un nuovo album che, per quanto buono, ricalca più o meno pedissequamente quanto il gruppo di riferimento ha già fatto molte volte in passato; se poi gli Slayer non vi piacciono (può capitare, eh: non c’è bisogno di vergognarsi) molto probabilmente neanche i Deathstorm faranno al caso vostro; se, infine, gli Slayer neanche li conoscete (e se siete abituali fruitori di questo sito io inizierei a farmi qualche domanda…) ma vi piace la musica violenta e suonata a duecento all’ora, allora il mio consiglio è di dare una chance alla compagine austriaca, ma poi di correre a recuperare anche due album (almeno) che si intitolano “Hell Awaits” e “Reign in Blood”.
Io vi ho avvertito.

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