Recensione: Red Eye

Di Ottaviano Moraca - 21 Maggio 2016 - 18:27
Red Eye
Band: Vardis
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2016
Nazione:
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75

Chi è Steve Zodiac? Bella domanda! Se conoscete la risposta vi meritate il diritto di entrare nell’Olimpo dei grandi campioni di metal-trivia! Tranquilli, non esiste nulla del genere ma se ci fosse e vi ricordaste dei Vardis meritereste un posto a quel tavolo. Il Sig. Zodiac è infatti il leader, cantante e chitarrista di questo seminale gruppo NWOBHM che, dopo cinque album e un discreto successo nei primi anni Ottanta, si è poi sciolto lasciando però solo nostalgia nel cuore dei fans.
 

Questo vuoto viene ora colmato visto che il nostro eroe, unico superstite della formazione originale, ha unito le forze con il batterista Joe Clancy e il bassista Martin Connolly  per ridare nuova linfa al suo progetto. E c’è riuscito? A quanto pare sì, perchè questo nuovo “Red Eye” suona maledettamente bene, accidenti, come non potreste mai aspettarvi da un trio che registra in presa diretta e senza sovraincisioni! Questa è infatti sempre stata la caratteristica dei Vardis: una spiccata propensione all’approccio live, famosi per l’estrema energia, che i Nostri, oggi come allora, ci tengono a riproporre anche in studio. Aggiungete una produzione assolutamente all’altezza e il risultato è un album grezzo ma non superficiale, diretto ma non semplice, essenziale ma non raffazzonato e che ha nell’efficacia il suo miglior pregio. Il recupero di un gruppo perduto nelle sabbie del tempo lascia sempre pensare che i membri superstiti, artefici dell’iniziativa, siano rimasti senza i soldi per il cinema e quindi, pur senza nulla di nuovo da dire, né ormai le capacità per farlo, tentino di rastrellare ogni spicciolo possibile con la solita viscida manovra commerciale. Fortunatamente non è questo il caso e la pensione non si addice a chi ha il rock nel sangue. Il nostro Steve ce l’ha ed è invecchiato bene e così, dopo 30 anni giusti dall’ultimo album, passa alle stampe un lavoro dal sound apertamente old-school, in cui mescola hard-rock, punk, heavy metal, rock’n’roll e blues, eliminando tutto il superfluo, comprese le cornamuse e i sax che invece in passato avevano fatto capolino nei brani dei Vardis. Niente più dell’essenziale per un album godibilissimo in cui è la chitarra del padrone di casa a dettare legge con assoli interminabili e riff taglientissimi. Nota per chi se ne intende: ragazzi, quest’uomo da sempre suona metal con una telecaster e tira fuori un sound che oggigiorno, pur con strumentazioni al limite del fantascientifico, in tanti riescono solo a sognare!!!

Ok, come ci insegna Mr. Zodiac, bando alle chiacchere e pensiamo alla musica: qui non si perde tempo e si inizia subito con una title track trascinante fin dai primi secondi, soprattutto grazie ad un riff efficacissimo, ad aperture melodiche che più indovinate non si potrebbe e ad una interpretazione graffiante e molto personale dietro al microfono. Riuscitissimo anche l’interminabile assolo. Bella anche l’interpretazione vocale alla Sisters of Mercy nella successiva “Paranoia Strikes” che, con il suo riff sincopato, ci riporta in direttissima agli anni Ottanta. I Vardis sembrano sfornare brani dal groove inarrestabile con una facilità imbarazzante e lo dimostrano ancora con “I Need You Now” la cui unica pecca è forse quella di essere un po’ troppo autoreferenziale. Si prosegue con “The Knowledge” in cui, fin dall’inizio, basso e batteria dimostrano di essere della partita accompagnando un cantato alla Johonny Rotten e un assolo che più rock’n’roll non si potrebbe, per regalarci un magnifico brano forse solo un poco troppo lungo per il target di riferimento. Bella e riuscita, ma forse a questo punto leggermente superflua, la successiva “Lightning Man” che, senza aggiungere nulla che i Nostri non avessero già messo sul piatto,  ci regala un altro sanguigno brano di rock piacevolissimo da ascoltare. Punk e rock’n’roll si fondono anche in “Back To School” per regalarci un refrain irresistibile che ci invita, anzi no, ci costringe ad alzarci dalla sedia. Mi raccomando: è vietatissimo l’ascolto al volante! Geniale nella sua sregolatezza è invece la spiritosa “Jolly Roger” che ci sa sorprendere per la  leggerezza, nonostante una struttura tutt’altro che banale e una durata considerevole ben oltre i 5 minuti. E siamo così arrivati a “Head of the Nail”, che fa dell’irriverenza il suo marchio, non solo nel testo, ma anche nelle parti strumentali così come nella linee della voce… Certo, la stessa cosa si potrebbe dire un po’ di tutto l’album  e, non di meno, anche della successiva “Hold Me”, che nell’intro addirittura strizza l’occhio al country, per poi lanciarsi in uno dei soliti riff ultra-coinvolgenti che i Vardis ci hanno abituato a conoscere. Immancabile anche in questo brano un lungo assolo dalle progressioni tipicamente rock’n’roll. Conclude l’album “200 M.P.H.” dal vago retrogusto di Motorhead con cui i Vardis riprendono quella “100 M.P.H.” che è stata la title track del loro primo storico album, quello che li lanciò verso il successo. Anche la struttura delle due canzoni è sovrapponibile: un riff taglientissimo, poche righe di strofa e un assolo interminabile, che è una vera goduria per quanto sa di improvvisazione. Davvero bello per chi lo sa apprezzare… Forse un po’ superfluo, almeno da un certo punto in poi, per tutti gli altri. L’album ufficialmente si chiude qui, poi ci sono un paio di bonus track . Una è “Living Out Of Touch” mentre l’altra è una versione speciale di “200 M.P.H.” indicata come “Reprise”. Con la prima siamo in pieno ambito rock’n’roll per il brano più “tradizionale” di questo disco mentre la seconda ci offre la versione Heavy-Metal del pezzo già sentito su questo stesso disco. A fare la differenza sono soprattutto i suoni molto più moderni, effettati ed aggressivi e la durata praticamente dimezzata. Come si dice “de gustibus…”.

In definitiva questo è un album piacevolissimo che scorre via in un baleno, tirandovi su il morale persino nella più nefasta giornata invernale in cui tutto vi è andato storto. Consigliato come anti-depressivo può aiutare a combattere lo stress nonché convincere persino i più sedentari a muoversi un po’ perché, che siate cultisti irriducibili dell’head-banging o che talvolta scendiate in pista per del buon rock, non fa differenza: non riuscirete a trattenervi. Quindi coinvolgimento garantito per questo gradito ritorno sulle scene che non ha davvero nulla di superfluo, anzi, Zodiac non solo dimostra di avere ancora qualcosa da dire, ma anche che la sua formula non è per nulla superata. Certo, abituati come siamo alle moderne derive più estreme del metal, oggi è più facile classificare i Vardis come Hard-Rock che come Heavy-Metal ma, etichette a parte, questo non toglie nulla al talento di un chitarrista non a caso citato (anche dai “big”) più volte nelle classifiche dei più influenti/migliori della sua epoca. Dunque non fatevi ingannare dalla copertina del disco che, se pur di sicuro effetto, lascia sottintendere una pesantezza che nella proposta musicale non si sente affatto. Questa è invece fresca e ispirata come vorremmo sentire più spesso anche dalle giovani band che passano su queste pagine e come, per contro, non si crederebbe possibile ascoltare da un gruppo di sessantenni… Meditiamo.
Una curiosità per concludere: oggi un vinile degli anni’80 dei Vardis può valere anche più di 500€… sempre che prima riusciate nell’impresa praticamente impossibile di convincere un collezionista a vendervelo!!!

 

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