Recensione: Red In Tooth And Claw

Di Gianluca Fontanesi - 6 Dicembre 2016 - 0:01
Red In Tooth And Claw
Etichetta:
Genere: Avantgarde 
Anno: 2016
Nazione:
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85

Alcune band alla quadratura del cerchio arrivano subito, altre dopo un paio di dischi, altre ovviamente mai o, come nel caso dei norvegesi Madder Mortem, dopo quasi vent’anni di attività e alla sesta fatica discografica. Profilo schivo quello dei nordici che, poco pubblicizzati, conosciuti e con poca attività concertistica alle spalle, presentano quasi in sordina Red In Tooth And Claw segnando anche il passaggio dalla Peaceville alla Dark Essence. Sette anni di silenzio ed ecco spuntare dal nulla un disco pazzesco, vario, in grado di rendere una band tutto sommato sempre di buon livello una delle più interessanti e pericolose nel suo genere. Già, il genere… Cosa suonano i Madder Mortem? Sono davvero difficilissimi da catalogare in quanto offrono una proposta eclettica e molto variegata, zeppa di colori e sfumature che non smettono mai di svelarsi anche dopo parecchi ascolti. Red In Tooth And Claw è un lavoro semplice solo in apparenza, da assaporare con calma godendone ogni singolo secondo e con una vasta gamma di soddisfazioni che metteranno il cuore in pace anche al più tenace fra i diffidenti.

 

La band nel booklet presenta ogni brano con una citazione, maniera decisamente interessante e in grado di dare un’ulteriore chiave di lettura ai già splendidi brani del lotto. Ma veniamo ora al dunque. L’arpeggio di Blood On The Sand apre le danze e quasi subito fate conoscenza con ciò che finora vi abbiamo tenuto nascosto: la voce incredibile di Agnete M. Kirkevaag! Prestazione strepitosa la sua dietro il microfono, provare per credere! Come la band, fa un po’ ciò che le pare e non è assolutamente azzardato il paragone coi Faith No More e l’approccio di Mike Patton. Il brano alterna chitarre belle ciccione durante la strofa a un improbabile arpeggio durante l’inciso e il ritornello; grandioso il ponte prettamente progressive metal con il cantato onirico e sognate di Agnete, che sfocia poi in un delirante “Wait For Me” ripetuto ad libitum e un finale con abuso di doppia cassa che mai male non fa. If I Could ha un incipit di puro progressive metal che a livello armonico anticipa quello che sarà il ritornello; l’arrangiamento sulla strofa rimanda addirittura ai Tool con le chitarre ipnotiche e “liquide” e la linea vocale di Agnete è ispirata e ben sostenuta dalle sovraincisioni. Ottimo il ritornello soffuso che è posto in netto contrasto col ponte più massiccio e oscuro. Fallow Season, primo singolo dell’album, cambia le carte in tavola rivelandosi un brano hard rock con tanto di tamburelli e altre amenità. Ha un buon tiro, è perfino radiofonico e la strofa ha un qualche rimando alla ben più famosa History Repeating dei Propellerheads che tanto andava qualche anno fa; altro ponte strepitoso in cui il sound si fa duro e Agnete vola sugli alti con nonchalance, accompagnata da una band notevole e perfettamente al servizio dei brani. Pitfalls ha un’alternanza tra momenti pesanti e il cantato di Agnete di rara bellezza; qui la band si supera ed emoziona davvero tanto con almeno 3 stili vocali passando da dei quasi scream alla musica da camera con una semplicità disarmante. All The Giants Are Dead inizia in maniera che più cinematografica non si può, ed ecco prontamente il cambio drastico che arriva con una strofa soffusa che fotografa nella nostra mente quel momento di un film in cui il protagonista depresso si ferma a bere da solo in un bar, sente una certa melodia e inizia un flashback di tutti i momenti più salienti che l’hanno portato lì. Ciò che ai Madder Mortem riesce in maniera allucinante è appunto il fotografare e il suscitare immagini nella mente dell’ascoltatore suonando in maniera semplice ma allo stesso tempo elaborata per un orecchio più raffinato. Il disco si può quindi ascoltare su più livelli: dal disinteressato al fan, dal musicista al neofita ed è sempre in grado di dare qualcosa comunque. All The Giants Are Dead è certamente uno dei brani migliori di quelli proposti, ma è davvero difficile qui scegliere un meglio rispetto ad un altro, in quanto qualitativamente siamo su livelli altissimi e francamente incriticabili.

 

Returning To The End Of The World è un alto brano dalle molteplici sfaccettature: si passa dal fumoso e desertico a un più deciso e roccioso progressive metal che potrebbe anche fomentare l’utenza con un po’ di sano headbanging verso le battute finali. Il pezzo da 90 però arriva con la seguente Parasites, nella quale succede davvero di tutto. Qui i Madder Mortem cambiano ancora faccia e si danno all’avantgarde vero e proprio (la band si può comunque considerare tale) servendo anche alcuni sopraffini blast beat e riuscendo a rimandare ai mai troppo compianti Ocean Of Sadness. Stones For Eyes è sorretta da un ottimo riff di basso e scatena ben presto tutta la potenza che un genere come il crossover è in grado di sprigionare; l’alternarsi del break violentissimo alla voce innocente di Agnete non trova nessuna critica, anzi, rafforza la convinzione che qui di critiche proprio non ne possano essere mosse.

 

Ci avviciniamo verso la fine del viaggio con The Whole Where Your Heart Belongs, che sembra quasi disneyana e posa sul mosaico un altro tassello zeppo di colori dalle tinte fiabesche e sfumature a pastello che coccola e culla l’ascoltatore prima del gran finale, Underdogs, dove contrariamente ai dischi che finiscono con brani in più inseriti per fare minutaggio, arriva il vero e proprio capolavoro. La traccia ha una potenza emotiva sconcertante e annichilente; Agnete prima rispetta con rigore la forma canzone, poi viene lasciata andare e arriva anche la pelle d’oca.

 

Tirando le somme, risulta davvero difficile trovare un difetto a Red In Tooth And Claw e sarebbe quantomeno fuorviante accanirci nel farlo. I Madder Mortem qui hanno osato, sistemato il loro sound lasciando perdere certe influenze acquistandone altre, e hanno trovato la formula esatta in grado di permettergli di sfoggiare il miglior lavoro della loro lunga carriera. Questo è un disco per il quale si può andare fieri e dal valore artistico non assoluto ma di certo altissimo; lasciarlo finire nel dimenticatoio e facendolo passare inosservato in mezzo al marasma di entità anonime che spesso ci vengono propinate sarebbe un atto criminale. Fatelo vostro, o almeno ascoltatelo, non ve ne pentirete.

 

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