Recensione: Resistance

Di Roberto Gelmi - 30 Settembre 2019 - 12:00
Resistance
Band: IQ
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2019
Nazione:
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80

Bisogna ammettere che gli IQ – alfieri della cosiddetta new wave of British progressive rock – non sbagliano un colpo e lo fanno da decenni. È passato un lustro dal precedente full-length e il gruppo vanta ormai quasi quarant’anni di carriera. Anche se il loro sound è ormai prevedibile, il segreto della band inglese sta però nel fatto che calcola abilmente i giusti tempi tra un’uscita e la successiva, in modo da fare attendere il giusto i propri fan.
L’infilata Dark MatterFrequencyThe Road of Bones prosegue, dunque, con Resistance, dodicesimo studio album (non concept) con un’altra copertina surreale e una tracklist ambiziosa divisa su due dischi. Gli IQ rilanciano il proprio trademark inconfondibile con due ore di musica ben composta e arrangiata nei dettagli. I minutaggi delle single canzoni spesso superano i dieci minuti e, sollecitata su questo punto, la band non manca di specificare quanto segue: «The extra time allows you to give the music room to breath and evolve which feels more organic». (Il tempo aggiuntivo permette di dare alla musica spazio per respirare ed evolvere, cosa che la rende più viva). Niente di più vero per il progressive, genere che dà il meglio con suite chilometriche divise in più movimenti.

Partiamo con l’ascolto. “A Missile” pone subito di fronte un sound quadrato e saturo. Il guitarwork è stranamente compatto per una band prog. rock e le tastiere metafisiche di Neil Durant sono un degno controsoggetto. La caratteristica voce di Peter Nicholls è pulita e per niente scalfita dal tempo; le parti di batteria trasudano potenza. Niente da dire, un opener di tutto rispetto. Unico appunto, l’atmosfera proposta, forse troppo mesta (sebbene raffinata) per l’avvio di un doppio album, ma gli IQ e certa “buona” malinconia sono inscindibili. Non delude nemmeno “Rise”, traccia ondivaga e con alcun controtempi di batteria interessanti. “Stay Down” procede inizialmente come una ballad canonica (simile a “You Never Will”, pezzo del 2004) salvo poi crescere d’intensità nel finale, con alcune asprezze eccessive. “Alampandria” (chissà a cosa si riferisce il titolo) riprende l’intro di sintetizzatore di “A Missile”, propone momenti lisergici e un successivo lungo crescendo che termina con note inquietanti (vicine a quelle dei Pallas più oscuri). Dopo la floydiana “Shallow Sky”, “If Anything” stupisce con il suo approccio retrò che guarda agli Eighties: momenti onirici dall’indubbio valore artistico (merito anche di inserti di chitarra acustica), peccato che nel finale Durant voglia a tutti i costi dar fiato alle canne d’organo… Il primo disco si chiude con la suite da 15 minuti “For Another Lifetime”. Nihil sub sole novum, però fa piacere sentire Paul Cook divertirsi alla batteria (vedi la fine del settimo minuto) e gli ultimi 180 secondi di epilogo sono impreziositi dalla 6-corde, con un assolo gustoso.

Il secondo CD si compone di sole quattro tracce, decisamente ambiziose la prima e l’ultima. “The Great Spirit Way” è il manifesto di quanto grandi possano ancora rivelarsi gli IQ. Avvio vicino agli Yes, prosieguo arioso e senza forzature; la tecnica è centellinata e tanta l’ispirazione, con passaggi graduali da momenti tenuissimi ad altri sontuosi: una suite magica che vale da sola l’acquisto del platter. Niente male anche le più concise “Fire and Security” e “Perfect Space” (con Tim Esau che si prende qualche soddisfazione al basso), ma è “Fallout” che ci aspetta al varco con i suoi venti minuti magniloquenti. Tutto è da manuale, l’affiatamento (a tratti perfino contrappuntistico) dei componenti è di una naturalezza disarmante. La Ringkomposition della suite in sé autoconclusiva lascia la band e l’ascoltatore in uno stato di grazia, chiedere di più sarebbe davvero eccessivo.

Le quasi due ore di Resistance a tratti riescono a scardinare il concetto di durata oggettiva: ascoltare le suite targate IQ è come vivere un tempo dilatato. La band anglosassone regala un altro album meritevole e anche lo spettro di Martin Orford è ormai lontano (Neil Durant è definitivamente suo degno erede). Detto questo, Resistance è un album meno perfetto di Subterranea o Dark Matter, tuttavia ripropone una band in ottimo stato di salute. Chissà se il ritorno dei The Flower Kings dopo lunghi anni di assenza saprà reggere il confronto con i cugini inglesi…

 

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