Recensione: Rising

Di Stefano Ricetti - 15 Settembre 2025 - 9:47
Rising
Band: Savaged
Etichetta: No Remorse
Genere: Heavy 
Anno: 2025
Nazione:
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66

Un po’ di ripasso: i Savaged nascono in quel di Barcellona nel 2021. L’esordio avviene lo stesso anno per il tramite dell’Ep Knights of Metal e gli Osanna che ne conseguono permettono agli iberici, senza aver alcun album ufficiale in carniere, di esibirsi addirittura sulle assi dell’Headbangers Open Air 2023, in un’edizione che vedeva in scaletta anche Riot, Jag Panzer, Sacred Reich, Fifth Angel e Vicious Rumors, solo per enumerarne cinque, di peso.

Night Stealer, disco pubblicato dalla No Remorse Records, costituisce il loro esordio su full length, nel 2024. La formazione schiera Cristian Blade alla batteria – già con i Redshark dal vivo – Aleix Coll al basso, Jamie Killhead alla chitarra e alla voce e Joan Grimalt alla seconda ascia.

Quest’anno, sempre per la fedele label ellenica, è la volta di Rising, secondo album ufficiale dei Savaged, che si confermano compatti anche a livello di line-up, che permane invariata.

Il prodotto, nella sua versione in Cd – esiste anche in vinile – oggetto della recensione, si accompagna a un libretto di sedici pagine con tutti i testi, alcune foto dei singoli componenti il complesso e una d’insieme nelle due centrali.

Così come riportato nella cronaca del predecessore, i Savaged mantengono anche per questa loro successiva fatica il tipico look anni Ottanta che pare farli fuoriuscire dalla macchina del tempo, nonostante siano una band composta da giovani musicisti.

In casi come questi, come peraltro già vergato nella chiosa della recensione di Night Stealer, è lecito, per una band promettente e dotata come quella formata dai quattro metaller di Barcellona, attendersi dei passi avanti, dal momento che sia l’Ep del 2021 che l’album del 2024 avevano permesso loro di finire nella lista dei gruppi maggiormente interessanti in ambito heavy metal tradizionale fra le nuove, o quasi, leve.

Rising si compone di nove pezzi per poco meno di quaranta minuti di ascolto. Come da aspettativa, lecita, per i motivi elencati sopra, è normale pretendere quel qualcosa in più che definisce il grado di maturazione di un gruppo, sì killer, ma altamente derivativo. E sin qui nulla di male, se si è agli inizi del proprio percorso, ma nel momento in cui esce il fatidico secondo album, come la storia del Metallo insegna, la “musica” deve cambiare. Quantomeno se si punta a un salto di qualità. Ed è proprio questo il punto nodale della questione: dopo enne passate Rising non riesce a distaccare chi l’ha preceduto.

Niente che non funzioni adeguatamente, sia chiaro, ma la prevedibilità finisce per imperare, in maniera impietosa. Tutto quanto può accadere per un orecchio allenato, ossia il 99% dei lettori di questa pagine truemetallare avviene con precisione chirurgica: lo stacco, il riffone, il refrain, l’urlo, gli assoli si susseguono secondo un copione straconsolidato sentito miliardi di volte nel corso del tempo.

Al netto di quanto palesato sopra, “Queen of my Salvation”, “The Conqueror” e “Rising”, solo per citarne tre, permangono canzoni pregevoli, sulla scia delle grandi influenze di Riot, Judas Priest, Saxon, Tierra Santa ed Helloween ma non bastano per marcare la differenza.

Nulla è perso, ovviamente, il tempo soffia dalla parte dei Savaged, ci sarà modo di rimediare in futuro con il terzo album. Se così non fosse, viceversa, gli iberici rimarranno un gruppo onesto – definizione onorevolissima, beninteso! – ma confinati nel novero delle grandi promesse poi non mantenute, in compagnia di moltissimi altri, peraltro.

Hasta la próxima, chicos!

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

 

 

 

 

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