Recensione: Ritual

Di Roberto Gelmi - 27 Dicembre 2025 - 12:00
Ritual
Band: Crown Lands
Etichetta: Insideout
Genere: Progressive 
Anno: 2025
Nazione:
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75

Davvero inaspettato il progetto sperimentale del duo canadese Crown Lands, uscito in due parti durante il corso del 2025, prima in digitale, infine in doppio LP nel mese di ottobre. La band dopo la firma per InsideOut Music ha deciso, infatti, di abbandonare temporaneamente il prog rock di stampo Rush per creare un disco strumentale più vicino alla musica etnica e cinematica (ascoltando Ritual sembra di attraversare il pianeta Pandora di Avatar…). A comporre Ritual sono pezzi strumentali con sintetizzatori, percussioni, strumenti etnici e atmosfere contemplative. Parliamo appunto di musica intesa come un’unica esperienza ambient/prog e meditativa, e non del rock pieno d’energia incarnato dal batterista-cantante, insieme al fidato chitarrista compagno di viaggio.

Ritual nasce in parte durante la pandemia, come modo per Cody Bowles e Kevin Comeau di esprimersi creativamente in un periodo in cui i movimenti erano limitati. La ripresa del progetto è legata, altresì, alla necessità di ritagliarsi un momento di “decompressione creativa” lontano dalle aspettative di un album tradizionale, dopo il successo riscosso con Fearless (disco del 2023). La band ha detto inoltre che Ritual funge da “world-building” in vista del loro terzo album in studio con voci e canzoni, perciò i fan possono dormire sonni tranquilli ad questo punto di vista.

Venendo alla musica, la prima mezzora coincide con la part one. I titoli delle cinque canzoni sono minimalisti e il sound proposto dai Crown Lands è da subito improntato a una grande atmosfericità e raffinatezza degli arrangiamenti. Si tratta di musica che entra dritta nel cuore e nelle nostre sinapsi, catapultandoci in una dimensione onirica e verrebbe da dire “tattile” (come dicevano gli antichi, la musica non solo si ascolta, ma si vede). A conferire uno spessore particolare sono le percussioni e i fiati; in questo senso un brano come “The storm” risulta di particolare pregio per merito delle nuance tribali che ne attraversano la durata. Il pezzo più progressive è invece “The serpent”, ipnotico e assolutamente intrigante nel suo procedere circolare in loop per ben sette minuti.

La part two del progetto è altrettanto ben congeniata. S’inizia con le percussioni potenti di “Tempest” (ci sembra di essere in una strana Arabia americana!) e si prosegue con i ritmi frizzanti di “Shadows under Moonlight”, sempre circondati da soundscape con suoni di uccelli e sintetizzatori anni Ottanta sullo sfondo. Il flauto è protagonista di “In the reeds” insieme a parti di chitarra, strumento che ritroviamo nella conclusiva “Celestial marsh”, momento tra i più divertiti e divertenti dell’album e che fa ben sperare nel prossimo album.

Se non conoscete i Crown Lands magari iniziate ascoltando il precedente Fearless, ma ritagliate il giusto tempo anche per Ritual, un’esperienza arricchente sotto ogni punto di vista e diversa dal canonico progressive rock.

 

 

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