Recensione: Royal Rendez-vous
Il rock genuino dei Dollhouse, quello low-tech e quello privo di voli pindarici, ha finito con l’appassionarmi.
Royal Rendez-vous, questo il titolo dal messaggio chiaro, è un secco flashback di trenta, forse quarant’anni, quand’ancora i college americani ospitavano giovani e promettenti musicisti rock nelle feste di fine anno scolastico.
L’aspetto poco gentile, retrò e un po’ trascurato del quartetto svedese lo rilancia nella dimensione della quale parlavamo appena più in alto e il taglio sonoro conforta la tesi che li vorrebbe sulla cresta dell’onda a fine anni sessanta/inizio settanta.
E invece siamo nel duemilasei, i Dollhouse nascono soltanto tre anni fa quando Michael Davis della MC5 di Londra mette le mani su una copia del primo singolo della band: “Questo è quello che la MC5 vuole ragazzi, è il sound che stavamo cercando e sono seriamente intenzionato a lavorare con voi e per voi!”.
L’album di debutto, The Rock and Soul Circus, riempie gli scaffali dei negozi a fine estate 2004 e, la conferma che Davis ci aveva visto lungo, è dimostrata non solo dal rendiconto finanziario ma anche dagli elettrizzanti show che li hanno visti protagonisti insieme ai L.A. Guns, Electric Fankenstein, Fuzztones, Black Moses e The Hellacopters. Un successo andato oltre le più rosee aspettative.
Veniamo al nostro Royal Rendez-vous che, talvolta è schiavo di un citazionismo gratuito e non equivale ad un disco che farà la storia dell’hard rock anzi; è composto da una sana dose di riverenza nei confronti delle grandi (The Beatles) medie (Guns n’ Roses) e piccole (L.A. Guns e Hardcore Superstar) realtà hard, sleazy e pop-rock, in una miscela sonora ancorata a strutture armoniche molto poco complesse ma dalle affascinanti melodie, affrontate con la decisione e l’energia che solo i migliori conoscono.
Il lavoro si basa quasi totalmente sulle partiture di chitarra elettrica di Andreas Heed, sporcata da un sound in bianco e nero e ancorata su passaggi estremamente armoniosi. E’ la voce di Chris Winter il vero marchio di fabbrica dei Dollhouse, abbracciata a vincoli very old-style; Chris interpreta alla perfezione i momenti più intriganti del lavoro, da The Rock & Soul Fever alla mini-suite I Just Don’t Care: entrambe valgono il prezzo del biglietto.
I momenti di stanca sono sporadici e ad intermittenza, l’album ha una durata relativamente breve e, nei trentaquattro minuti a disposizione, spiccano l’esplosiva Do You Know What I Mean e la ragionata With My Heart & Soul dove, proprio il soul e il rock classico si incamminano mano nella mano in un percorso tutto in discesa.
Divertente ed incalzante.
Royal Rendez-vous non ha pretese astronomiche se non quelle di regalare qualche brivido a coloro che, chiudendo gli occhi, hanno voglia di ripercorrere con la mente le strade di qualche generazione fa, quando la difficoltà più grande consisteva nel chiedere alla pollastrella di turno la disponibilità a presentarsi con voi al ballo di fine anno. E sul palco di quella palestra adibita a locale notturno l’ospite d’eccezione: i Dollhouse, perché no.
Gaetano Loffredo
Tracklist:
1.The Rock & Soul Fever
2.Lets Get It On
3.Living Tomorrow
4.With My Heart & Soul
5.Do You Know What I Mean
6.Dead Man’s Hand
7.The Worried Blues
8.Hard To Change
9.I Just Don’t Care