Recensione: Sermons Of The Sinner

Di Giorgio Giusti - 25 Ottobre 2021 - 0:01
Sermons of the Sinner
Etichetta: Explorer1 Music
Genere: Heavy 
Anno: 2021
Nazione:
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67

Sermons Of The Sinner nelle intenzioni di KK Downing nasce come se fosse una fiaba descritta alla stregua di una lunga lettera d’amore verso l’heavy metal, molto familiare ai fan dell’era classica dei Judas Priest.
Per far ciò il nostro eroe ha sostituto Halford nelle parti vocali con il veterano ed ex Judas Priest Tim “Ripper” Owens, aggiunto il batterista Sean Elg (Deathriders, Cage), più Tony Newton al basso (Voodoo Six) e  A.J. Mills all’altra chitarra.

KK’s Priest il nome del gruppo: del resto le icone metal non vanno mai veramente in pensione, magari scompaiono quasi un decennio prima di tornare più forti che mai. O almeno, questa è la loro idea e speranza.

Sermons Of The Sinner è il titolo dell’album ed inutile nascondere che come sound, è molto simile ai Judas Priest. Del resto lo stesso Downing ha riferito: in un certo senso questo disco suona come qualcosa che è già stato fatto o che avrebbe dovuto essere fatto.

Si inizia con Hellfire Thunderbolt subito seguita dalla title track Sermons Of The Sinner: entrambi sono pezzi solidi, energici e con tanto mestiere. Nulla però di indimenticabile in verità, con molti clichè nelle linee melodiche e nei riff.
Si continua con Sacerdote Y Diablo ed ahimè non ci spostiamo di una virgola dalla strada intrapresa. Eccellente guitar work, melodie interessanti, ma non c’è il guizzo che ti rapisce (i Judas erano e sono maestri in questo).
Nel prosieguo dell’album c’è poi Metal Through And Through, pezzo di oltre 8 minuti che però non abbandona gli stereotipi sopra descritti: si enfatizza la parte strumentale ma si scivola ancora un po’ nel banale.
Il pezzo è stucchevole pure per la sua durata eccessiva.

Facciamola breve: in Sermons Of The Sinner non ci sono molti spunti interessanti, il disco suona come fosse un “demo” di un gruppo heavy metal con un cantante in formissima, due chitarristi abili e volenterosi che, tuttavia, ripetono fino allo sfinimento le solite scale con i ripetuti riff assieme ad un batterista ed un bassista piuttosto standard.

Si arriva alla fine un po’ a fatica: gli spunti degni di nota latitano, gli sbadigli si fanno preoccupanti. Tutto resta abbastanza piatto ed eccessivamente scontato nella forma di un songwriting troppo canonico e sentito mille volte. Non pretendevamo un altro Painkiller, eventualmente un Jugulator, ma qualcosina in più era lecito attenderlo, visto il notevole parterre in campo.

Spiace anche per Ripper Owens, ennesima dimostrazione del fatto che talento e bravura da soli non bastano se non inseriti in un contesto rilevante. I KK’s Priest in questo lavoro non sono riusciti ad ottenere e conquistare il livello ambito, almeno per quel che concerne la qualità compositiva. Il risultato è impersonale, lontano da quell’eccellenza cui vorrebbero tendere i protagonisti.
Doveva essere il grande rilancio di KK Downing, storico chitarrista dei Judas Priest, ma così non è: resta più che altro un tentativo non totalmente riuscito di scrivere una lettera d’amore verso l’Heavy Metal che finisce però per farci sonnecchiare un po’…

A loro discolpa si può considerare che il termine di paragone con i Judas degli album migliori è probabilmente impossibile da raggiungere per la maggior parte delle attuali band heavy. Forse, proprio per questa ragione, differenziarsi maggiormente avrebbe permesso loro più fantasia anche nella stesura dei pezzi.

Resta, insomma, l’impressione che il debutto dei KK’s Priest sia stato realizzato con l’obiettivo principe di muovere le acque, fornendo un cenno di vita al pubblico in merito ad un progetto che lascia seri dubbi sulla sua genuinità e su quanto la scelta di rimanere in scena sia davvero motivata da estro artistico ed amore per la musica, piuttosto che dal semplice richiamo del conto in banca.
Magari, come suggerito da più parti, ispessito da qualche bella partecipazione dal vivo in festival (quando si faranno) ed eventi di vario tipo.

Dubbi che rimangono e non vengono dissipati dal valore di un disco ascoltabile ma per lo più convenzionale ed ordinario.

Una fiaba rimane comunque.
Come era ?

He is the Painkiller
This is the Painkiller
Planets devastated
Mankind’s on its Knees

Già, ma questi erano i  Judas Priest!

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