Recensione: Shadows Of The Dying Sun

Di Daniele D'Adamo - 28 Aprile 2014 - 18:22
Shadows Of The Dying Sun
Band: Insomnium
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2014
Nazione:
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92

 

Nemmeno un cambio in formazione così importante come quello di un chitarrista (Markus Vanhala al posto di Ville Vänni) li può fermare: a tre anni di distanza dal superbo “One For Sorrow”, è tempo di “Shadows Of The Dying Sun”, ora, per i finlandesi Insomnium.

Non li ferma, nemmeno, l’ansia da prestazione; cioè la responsabilità di dare a tutti i costi un degno successore al citato capolavoro uscito nel 2011. Mantenersi su standard qualitativi eccelsi è difficile per chiunque, anche per i Padri Fondatori del metal. Figurarsi per un ensemble che di essi ne è figlio e che, per di più, girovaga per le lande del death metal. Ma gli Insomnium sono gli… Insomnium, cioè la migliore rappresentazione attuale, messa in musica, delle lunghe anzi infinite notti artiche che contraddistinguono la Finlandia e i suoi mille laghi, di quelle terre battute da venti gelidi che penetrano la carne come rasoi, di quei cieli limpidi e trasparenti da cui baluginano le stupefacenti aurore boreali.

Tutto ciò s’intuisce al volo, sulla pelle, non appena il ritmo languido e malinconico di “The Primeval Dark”, l’opener, si svolge attorno all’uditorio, legandolo dolcemente con le fini tessiture delle sei corde e stringendolo poi con le linee vocali, sempre pregne di visionarietà, del growling soffuso di Niilo Sevänen. La disarmante capacità di scrittura degli Insomnium, tuttavia, esplode con “While We Sleep”, fenomenale song segnata da uno dei cori più epici ed emozionanti che mai abbia fatto capolino nel metal:

«When your heart gives up, your love collapses.
When they have that, never lest going to stare no more?
When you read that song on the throne out of sentiment.
When there’s no one else but you to play it for.»

Anche il memorabile ritornello, guidato dalla roca ugola di Sevänen, non è certo da meno – così come il languido e morbido solo di chitarra – , completando così un brano-capolavoro che si proietta in alto verso lo zenith, al di là dei generi e dei sotto-generi metal, rappresentando in tal modo una delle cime maestose di “Shadows Of The Dying Sun”. Che, volendo essere glacialmente obiettivi, di questi picchi ne è pieno, a mo’ di catena montuosa himalayana. Anzi, si potrebbe azzardare il concetto che siano tutte sullo stesso grandissimo livello, le dieci tappe del meraviglioso viaggio degli Insomnium. Come “Revelation”, per esempio, speed-song nella quale la band accelera con decisione mantenendo comunque inalterato lo spesso mood che permea ogni nota dell’album. Un sound possente, pieno, maestoso che, all’uopo, sa rarefarsi per dar spazio a break arpeggiati o a toppe di tastiera. Oppure, sa diventare addirittura brutale come dimostrano i furiosi blast-beats di “Black Heart Rebellion”, ove le due asce da guerra di Ville Friman e Vanhala cozzano, s’incrociano, si rincorrono sì da dipingere rumorosi campi di battaglia irrorati dal sangue dei guerrieri feriti, per una visione d’epopea assoluta.  

“Shadows Of The Dying Sun” sfiora l’ora di durata, ed è assemblato con pezzi della lunghezza anche rilevante (“The River”), tuttavia è talmente ‘accordato’ con le emozioni del cuore e i sogni della mente che appare addirittura breve. Tale, quindi, da invogliare lunghe sedute di ascolto a occhi chiusi, proiettando nell’immaginazione i colori, gli odori, i sapori, il clima delle leggendarie saghe degli uomini dalle barbe ramate (“Lose To Night”). Assieme al rutilante avanzamento degli eserciti in battaglia, che cambiano ritmo di marcia a seconda del momento strategico (“Collapsing Words”). Assieme alle lacrime che sgorgano dagli occhi morenti dei caduti, quanto il pensiero va alla vita trascorsa e ai suoi momenti più intensi, che non torneranno mai più; lacrime che vergano i testi incommensurabilmente poetici di “The Promethean Song”:

«No redemption from the skies.
No response up from heavens.
No relief will ever come.
From beyond this realm.»

Altra canzone-capolavoro dalla melodiosità commovente, dall’armoniosità struggente, dalla musicalità inarrivabile e vincente. Per fissare in eterno il death metal melodico nel ricordo dei discendenti, per forgiare nel fuoco il loro carattere, per renderli partecipi, chissà quando, nel futuro, della grandezza degli Insomnium e del loro “Shadows Of The Dying Sun”.

Fantastici, entrambi.

Daniele “dani66” D’Adamo
 

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