Recensione: Six Degrees of Inner Turbulence

Di Onirica - 25 Gennaio 2002 - 0:00
Six Degrees of Inner Turbulence
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Genere:
Anno: 2002
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95

Inserite il primo disco di questa straordinaria nuova uscita nel vostro lettore
cd. Siete pronti? State per essere travolti da una turbolenza interiore non indifferente.
Non preoccupatevi per i primi secondi che state per ascoltare, non avete beccato
l’unico cd difettoso. Ricordate come si concludeva Scenes From A Memory? Ebbene
Six Degrees comincia nello stesso modo, con una piccola interferenza, cui in pochi
secondi si sovrappone il suono di una campana. Il nuovo sogno è cominciato.
Si divide in due cd, per una durata totale di circa 96 minuti di pura follia.

La prima traccia è intitolata The Glass Prison . A sua volta
si divide in Reflection, Restoration and Revelation. Le pesanti corde di un
basso sempre più timido ci danno il benvenuto, e mentre una chitarra
potente e indiavolata apre le danze, la tastiera di Rudess ci riporta alle sonorità
dei Liquid Tension. Mi dispiace ma non ho parole riguardo quello che nel frattempo
sta combinando Mike con la sua batteria. Ed è lo stesso Mike che pronuncia
le prime parole di questo album: sembra che questa volta voglia proprio strafare.
Passano i secondi, i più piccoli istanti, e PROGressivamente aumenta
tecnica ed entusiasmo. James LaBrie si riappropria del microfono e ci assicura
che questo è solo l’inizio. Travolgente il cantato di Restoration mentre
a dieci minuti e venti dall’inizio Petrucci ci regala una nuova perla. Proprio
così, sono impazziti.

Si passa a Blind Faith e le nuove melodie mi hanno già reso
schiavo. Una canzone grandiosa, dove il protagonista diventa sicuramente Jordan:
un pianoforte incantato ferisce a morte i secondi centrali, mentre una tastiera
prodigiosa si occupa di tutto il resto. Il risultato è indescrivibile.
Una nuova canzone lunghissima e piena di sentimento.

Certe volte basta ascoltare i primi secondi di una canzone per innamorarsene.
Penso sia il caso del terzo brano, Misunderstood . Una voce maledetta
e angelica ci introduce ad uno dei ritornelli più belli che io abbia
mai sentito, Portnoy abbandona l’eco del suo rullante per accompagnarci fra
le parti più incisive di questo pezzo. Alla fine troverete solo il tempo
di preoccuparvi per la salute mentale di Petrucci e Rudess.

Il quarto è il mio pezzo preferito, sicuramente una delle composizioni
migliori firmate dalla tecnica Dream Theater. Signore e signori, si tratta di
The Great Debate , un autentico mostro dalla potenza inaudita. Proseguiamo
lentamente. Il basso instancabile di Myung non molla la presa accompagnando
le nostalgiche voci fuori campo che ci riportano a Scenes, mentre la batteria
si unisce strisciando e contorcendosi in modo preoccupante. Passano due minuti,
piatti e chitarra, si apre il sipario e in volo gli attori entrano in scena
grazie ad una voce elettronica e ambigua. Naturalmente non ho ancora studiato
le lyrics, ma James pronuncia le parole “Poised for conflict at ground
Zero”. A voi gli approfondimenti. Si sfiorano i sei minuti e le mie mani
tremano, sorpassiamo gli otto e James ci dimostra di essere solo migliorato
lanciandoci verso un nuovo assolo di Rudess: impeccabile e pregiato, degno dei
pezzi più tirati dei Liquid Tension. Passa la palla a Petrucci e continuiamo
a sognare salendo le scale che solo pochi possono suonare. Pronti? Arriva il
pezzo più coinvolgente di entrambi i dischi: i quattro strumenti si allacciano
l’uno all’altro in un crescendo spaventoso, vi sembrerà di perdere l’equilibrio
e “cadrete nell’infinito”.

Disappear inizia nell’atmosfera più fredda e triste dell’album.
Nonostante sia il pezzo più corto, è incredibile l’angoscia che
riesce a trasmettere in pochi minuti. Un pianoforte accompagna una voce per
cui adesso non si può che piangere. La batteria tenta invano di rimediare
alle sorti di una storia scritta dallo stesso LaBrie, ma è tutto inutile,
si ritorna al triste motivo iniziale e si conclude il primo cd.

Tocca a Six Degrees Of Inner Turbulence . Sinceramente mi aspettavo
qualcosa di diverso, ma questo non significa che ne sia rimasto deluso. I 42
minuti preannunciati scorrono lisci come l’olio. Una nuova Overture
strumentale, ancora più solenne e maestosa rispetto a quella degli anni
20, conserva tratti spiritosi e tastiere leggere che ci conducono ad About
To Crash
: questo brano segue la linea di quello precedente, segue l’eco
lasciato dalla voce di James e si conclude con un assolo da pelle d’oca, sicuramente
già preda dei migliori chitarristi. Un cantato particolare in War
Inside My Head
, in alcuni punti accompagnato da un Mike veramente imprevedibile.
Il pezzo si conclude improvvisamente per dare spazio a The Test That Stumped
Them All
, il frammento forse più cattivo e veloce di tutta Six Degrees. Con Goodnight Kiss sentiamo la voce di un bambino regalare
la buonanotte alla madre: complimenti a Jordan Rudess, è qui che si nota
la sensibilità di un artista. Strane urla in sottofondo e un elettrocardiografo
portano ad una solare Solitary Shell : al diavolo tutti quelli che
a questo punto pronunceranno la parola “commerciale”, questa canzone
è splendida, soprattutto nella variazione finale. A concludere la traccia
più lunga mai scritta dai Dream, una ripresa della seconda parte e Losing
Time/Grand Finale
: qui avrete la conferma di un album grandioso e di un
gruppo intramontabile. Sarete ripagati dei soldi (tanti) che avete speso per
quest’ultimo acquisto e chissà, potreste fare come un certo pazzo che
pensa già al prossimo disco.

Se non l’avete ancora comprato.. cominciate a correre!!!

CD1

  1. The Glass Prison – 13:52
  2. Blind Faith – 10:21
  3. Misunderstood – 9:32
  4. The Great Debate – 13:45
  5. Disappear – 6:45

CD2

  1. Six Degrees of Inner Turbulence – 42:02
    1. Overture
    2. About to Crash
    3. War Inside My Head
    4. The Test That Stumped Them All
    5. Goodnight Kiss
    6. Solitary Shell
    7. About to Crash (Reprise)
    8. Losing Time/Grand Finale

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