Recensione: Slaves And Masters

Di Enzo - 24 Novembre 2005 - 0:00
Slaves And Masters
Band: Deep Purple
Etichetta:
Genere:
Anno: 1990
Nazione:
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88

Per la stragrande maggioranza delle persone e dei fans i Deep Purple sono la band di “In Rock” e dell’hit “Smoke on The Water”, il solo osare parlare di ciò che un gruppo di tale caratura ha fatto dalla seconda metà degli anni 80 ai primi 90 è quasi uno scandalo. E’ così che capolavori come “Slaves and Masters” si vedono descritti attraverso una miriade di recensioni negative e di catastrofiche opinioni portate avanti, ovviamente, da persone o che non avranno mai ascoltato il disco o che di musica non ne capiscono granchè.

“Slaves and Masters” è la svolta musicale della band, quella svolta già accennata nel pur ottimo “House of Blue Light”, una svolta musicale che ridona allo storico combo inglese una ventata di freschezza ed originalità all’insegna di un hard’n heavy melodico e tendente, sovente, all’AOR più scintillante. Una svolta questa poco compresa dalla quasi totalità dei fans, occlusi nei loro sterili luoghi comuni e incapaci di giudicare una proposta musicale sincera senza cadere (o scadere) nel mero trend contestatorio atto a nascondere una generale mancanza concettuale che è alla base di un certo tipo di musica.
Lasciato Gillan in tribuna ed avendo assunto le piene redini della band, Blackmoore assolda nel ruolo di cantante il grandissimo Joe Lynn Turner, il risultato è entusiasmante. Infatti entusiasmante è l’unico aggettivo per descrivere un disco inaugurato all’insegna del rovente arena rock della fantastica King of Dreams, prepotente componimento dal flavour epicamente minaccioso portato in auge da un’ eroica prestazione vocale di un Turner in stato di grazia. I Deep Purple strizzano l’occhio all’hard/AOR più fiero e graffiante nella seguente The Cut Runs Deep che, scandita da diretti e potenti chorus introduce alla carica blueseggiante della seguente e “old oriented” Fire in the Basement, mentre è affidato al cadenzato e travolgente incedere della magniloquente Truth Hurts il compito di riportare il platter su binari nuovamente raffinati. Blackmoore è intento in un’appassionante saggio sulla sua guitar-art nella seguenti melodie di Breakfast In Bed (che classe!) mentre non ci sono parole per descrivere l’epico, triste e romantico incedere della ballad Love Conquers All, appassionante canzone dove la magnificenza di Turner sembra voler far il verso al miglior Glenn Eisley del tempo. C’è spazio anche per l’heavy rock di matrice epica nei ritmi ruggenti e cadenzati della successiva Fortuneteller, scandita alla perfezione dal millimentrico drumming di Paice. L’incedere pomposo e dittatoriale di Too much is not enough apre una porta verso un hard scontroso e d’impatto in contrasto con l’old rock graffiante e pungente di Wicked Ways, motociclistico componimento che va a porre il sigillo finale su di un disco che ha avuto l’incredibile prerogativa di ridonare originalità alla proposta musicale del combo inglese, soprattutto grazie all’apporto e al carisma di un cantante del calibro Joe Lynn Turner che ha contribuito non poco a fare di “Slaves and Masters” uno degli album più scintillanti della lunga discografia dell’act Deep Purple.
Vincenzo Ferrara.

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