Recensione: Slovo

Di - 22 Novembre 2011 - 0:00
Slovo
Band: Arkona (Rus)
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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81

Il nome Arkona è, da oramai quasi un decennio, sinonimo di Pagan Metal. Una monolitica garanzia di qualità, una delle poche certezze musicali che mi spingono ad acquistare un disco a scatola chiusa. E non sono mai rimasto deluso.
Una fiducia che la band moscovita si è costruita pian piano, con un lavoro sempre fedele alle proprie convinzioni, con la cura per i particolari e, non ultima, per tanta attitudine e dedizione verso la musica. “Slovo”, sesto album della band, rimane nel metaforico solco tracciato con il primogenito “Vozrozhdeniye”, capostipite che vide la luce nel lontano 2004 (tralasciando il demo “Rus” di due anni prima).
La musica degli Arkona si è evoluta, si è raffinata ed è divenuta più matura senza snaturasi o mutare nel corso del tempo. È chiaro che, all’incrementarsi delle finanze a disposizione, anche la qualità dei prodotti è notevolmente migliorata.  
“Slovo” rappresenta, quindi, la normale evoluzione di un gruppo che nel corso degli anni è riuscito non solo ad uscire dal limbo dall’anonimato, ma anzi di attestarsi su vette d’eccellenza che, probabilmente, agli albori potevano essere impensabili.

Il suono caratteristico marchiato Arkona, distinguibile oramai già dal primo ascolto, esplode in tutta la sua deflagrante potenza in un album che bissa il successo dell’ottimo Goj, Rode, Goj! grazie ad idee vincenti unite ad una elevata qualità. Ricco e godibile, il lavoro mette in mostra un gruppo sempre più ispirato dal gigantesco paese russo, di cui vengono cantati miti e leggende, tradizioni e colori. Proprio la patria russa prende voce, dopo “Az’” incalzante intro dal sapore indiscutibilmente slavo, con la meravigliosa “Arkaim”. Arkaim è un sito archeologico posto nella steppa degli Urali del sud, quasi al  confine con il Kazakistan. Il sito, scoperto appena nel 1987 e per anni dimenticato dalle autorità sovietiche, rappresenta un antico insediamento circolare difeso da mura d’argilla attribuibile a popolazioni di ceppo indo-ariano proveniente dalla migrazione mesopotamica. Proprio per la probabile residenza di popolazioni indo-iraniane, il sito è diventato presto punto di riferimento per amanti dell’esoterismo perché riconosciuto come “il sito archeologico più enigmatico di tutta la Russia”. Ma non solo: la sua importanza storica è data dal fatto che, molti studiosi, attribuiscono all’insediamento di Arkaim l’appellativo di “antica capitale della prima civiltà ariana, come descritto nell’ Avestā”. Un tale concentrato di storia, credenza e folklore viene sintetizzato egregiamente dalla strofa che recita: “qui vaga come un’ombra il patrimonio di un’epoca che resta in agguato tra le rovine dei santuari”. Un simile bagaglio storico, non poteva che essere rappresentato in musica da un brano  estremamente eclettico, oscuro, dall’incipit prettamente black, in cui la voce di Masha risuona come una sofferta nenia sciamanica fatta di echi e continue sovrapposizioni vocali. “Arkaim” è un vero gioiello, valorizzato in maniera impeccabile da una produzione superlativa. Il growl lascia spazio a flauti, cornamuse e cori pomposi dal gusto dichiaratamente orchestrale. Il suono è caldo ed avvolgente, capace di metterti a proprio agio anche nelle parti più drammatiche ed evocative.

L’esperienza dell’ascoltatore che si addentra in un qualsiasi lavoro del gruppo deve essere totale, una full-immersion nel mondo ancestrale che gli Arkona ci presentano, non si può limitare al semplice ascolto di qualche canzone qua e la. I dischi degli Arkona sono tutt’altro che semplici perché vanno vissuti con la stessa intensità con la quale sono stati ideati e scritti. Questo è, dal mio punto di vista, la forza della band. Anche la seguente “Bolno mne” ricalca lo stato d’animo angustiato e marcatamente claustrofobico, con una interpretazione sofferta, urlata che si stempera nei cori lontani che attenuano per poco uno struggente stato d’animo.

Lo scenario cambia radicalmente divenendo festoso in “Leshiy”, pezzo dedicato all’omonimo spirito della mitologia slava chiamato a proteggere gli animali selvatici e le foreste. Nella mitologia, il Leshiy appare come un uomo alto che però può cambiare forma a proprio piacimento: esso infatti può diventare piccolo e sottile come un filo d’erba, o grande ed imponente come un albero. A chi diventa amico, il Leshiy insegna i segreti della magia. La canzone – a cui assegno la palma della migliore assieme alla seguente “Zaklyatye” – racconta del rapimento di un ragazzo da parte del guardiano, preoccupato per la pace e la tranquillità del bosco. Un brano che porta in sé il bagaglio culturale dei vecchi che si concretizza nella morale “stai lontano dai boschi la notte: l’unica a poterci passeggiare indisturbata è la luna”.

Tempo di riflessione nella seguente “Zaklyatye”, brano che, simile ad una preghiera recitata con intimistica dedizione, sottolinea una volta in più la  maestria di Masha nell’utilizzo e nella modulazione della voce. Nota di merito anche per l’ottimo lavoro svolto da Sergei “Lazar”, sempre preciso e puntuale in ogni passaggio del disco.
È un continuo di emozioni, di canti magici e atmosfere popolane, di musica eterea e di violente folate di gelido vento dell’est.
Dopo la preghiera rivolta agli antenati in “Predok”, si ritorna ad essere tempestati dal black tanto caro agli Arkona; urla di guerra e passi pesanti ci preparano al growl più cavernoso di tutto il disco. Canzone ben riuscita, quest’ultima, che contribuisce a tener alto il tenore qualitativo del disco.
L’atmosfera si addolcisce come la nebbia di “Tam za tumanami” che avvolge, silenziosa, madre terra. Il brano, tra i cori possenti e gli scacciapensieri, concede all’ascoltatore un po’di respiro, rallentando di fatto i battiti di un cuore, fino a questo momento, piuttosto in sussulto.

La voce di un bambino, autoproclamatosi figlio di Svarog, fa da insolito intermezzo e ci conduce alla rocciosa “Slovo”, piuttosta lenta e cadenzata, dominata dalla cavernosa totalità dell’impeccabile cantante e dal flauto dell’ottimo Vladimir “Volk”, protagonista, con la fedele cornamusa, anche nella seguente “Odna”.
Niente filler di comodo. Ogni specifico brano presentato dagli Arkona vive di vita propria e di una propria spiccata personalità; un disco come questo, in cui il tasto ‘avanti’ è stato deliberatamente dimenticato è cosa piuttosto rara di questi tempi.
Spazio all’alcoolica ed Humppaiola “Stenka Na Stenku”, title-track dell’EP che fece da precursore a questo magnifico “Slovo”. Alla tranquilla “Zimushka”, infine,  il compito di accompagnare per mano l’ascoltatore fino alla conclusione di questo eccellente lavoro; un disco che, una volta di più, ha dimostrato le enormi potenzialità degli Arkona. Un gruppo che, in conclusione, ha fatto della qualità un dogma imprescindibile e questo “Slovo” ne è l’esempio lampante.
Applausi.

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Tracklist:
01. Az’
02. Arkaim
03. Bol’No Mne
04. Leshiy
05. Zakliatie
06. Predok
07. Nikogda
08. Tam Za Tumanami
09. Potomok
10. Slovo
11. Odna
12. Vo Moiom Sadochke…
13. Stenka Na Stenku
14. Zimushka

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