Recensione: Snakes & Arrows

Di Mauro Gelsomini - 4 Maggio 2007 - 0:00
Snakes & Arrows
Band: Rush
Etichetta:
Genere: Prog Rock 
Anno: 2007
Nazione:
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87

Non ho idea del tempo che mi occorrerà per metabolizzare davvero il diciottesimo album del trio prog canadese per eccellenza, probabilmente dovrei scrivere questa recensione in un momento in cui non avrebbe neanche senso inserirla tra le “nuove uscite” del portale…
Pur avendo letteralmente consumato il disco in questione, indipentemente dalla sua bellezza, quanto piuttosto per la voglia di scoprirlo in ogni suo dettaglio, ho ancora la sensazione di non “possederlo” completamente. Molte caratteristiche di “Snakes & Arrows”, come avrete modo di capire, contribuiscono talmente a renderlo così “sfuggente” che è difficile togliersi dalla testa il pensiero secondo il quale questo alone di mistero sia stato fortemente voluto da Geddy, Alex e Neil.

Nei cinque anni di attesa per un nuovo full length i nostri ci “allietavano” con ben tre fantasmagoriche uscite in DVD (Rush In Rio, R30 e Replay X3) e un EP di cover, quel Feedback cui l’approccio compositivo ed esecutivo del nuovo studio album deve moltissimo.

Se per “Feedback”, infatti, i nostri avevano provato e riprovato le song in presa diretta, seduti su tappeti per ricreare il sound caldo dei vecchi vinili, e soprattutto concentrarsi in un’atmosfera intima, l’accostamento con “Snakes & Arrows” è del tutto lecito, trattandosi probabilmente della migliore produzione dei Rush, superiore anche a Counterparts, che fin’ora è stato il termine di paragone del sottoscritto per i suoi ascolti in high fidelity.
Il merito di tutto ciò va in buona parte al nuovo producer, l’esperto Nick Raskulinecz (Foo Fighters, Fireball Ministry, System Of A Down, Fu Manchu, Marilyn Manson…), che si dice soddisfatto di aver riportato la band al sound degli anni ’70.
In realtà non è proprio così.
“Snakes & Arrows” suona dannatamente old, questo sì, ma nel calore tipico del vinile sono ben riconoscibili i modernismi che la tecnologia mette oggi a disposizione, come le sovraincisioni al limite della perfezione e della brillantezza, o alcuni arrangiamenti synth del tutto estranei alla minimalità di un Fly By Night o di un Farewell To Kings.
In realtà in “Snakes & Arrows” riesco con ogni ascolto a trovare qualcosa delle produzioni passate, dalla new wave di Signals al rock synth-oriented del periodo AOR di Grace Under Pressure, Power Windows e Roll The Bones, dall’alternative del già citato “Counterparts” al rumoroso e potente, quasi punk, sound di Vapor Trails

Ci discostiamo molto, quindi, dal sound degli ultimi Rush, dall’ultimo “Vapor Trails”, ma anche da Test For Echo, per la presenza massiccia delle chitarre acustiche, che insieme alle altre chitarre gestiscono fondamentalmente l’ossatura dei brani: Alex Lifeson ha letteralmente riempito il disco di sei e dodici corde, elettriche e tante acustiche, mandolini, bouzouki e, se l’orecchio non m’inganna, anche una balalaika, lasciando associare “Snake & Arrows”, a “My Favourite Headache” (disco solista di Lee), Presto, oltre ovviamente al già citato “Feedback”.
Assieme alle chitarre, basso e batteria vengono registrate in presa diretta, in uno stanzone di trenta metri per trenta, e il risultato, come ho già detto, è sensazionale…
Le composizioni (e le liriche) sono quanto di più riflessivo i Rush abbiano mai scritto, ascoltare (e leggere) per credere. Le atmosfere cambiano in continuazione, pur restando amalgamate come mai prima d’ora in un platter dei canadesi, e questo senso di mutamento continuo si riflette nella forma canzone, in primis, spesso tradizionale, altrettanto spesso stravolta da aperture improvvise e cambi repentini, quindi negli arrangiamenti vocali, con frequenti raddoppi di armonizzazione da parte di Lee, già usate in passato nei chorus (cfr. “Everyday Glory”), e ora decisamente accentuate, ma in maniera del tutto anti-convenzionale, così come pure i ripetuti “rientri” di Geddy sui finali di verso…
E’ un vai e vieni, un’onda continua che progredisce nel vero senso della parola intorno a una linea melodica quasi mai aggressiva, quasi mai esagerata…
Tutti i refrain risultano dunque accattivanti, a partire dal singolone posto in apertura, “Far Cry”, dal sapore molto “Roll The Bones”, ma non mi sento di penalizzare nessuno dei chorus dei brani inclusi… “Armor And Sword”, raffinatissima “Tom Sawyer” del 2007, insieme a “Workin’ Them Angels”, dalle liriche a dir poco superbe, e “Way The Wind Blows”, che si apre con un breve passaggio blues-rock, direttamente ispirato dalle session di “Feedback” e prosegue con un coro da mille e una notte.

L’alternative fa capolino con “Spindrift”, a cavallo tra “Vapor Trails” e “Test For Echo”, e ancora una volta è un centro perfetto che fa il paio con “Bravest Face”, dalle strofe caratterizzate da arpeggio e cantato veramente stranianti, quasi ubriache, e dall’ormai classica apertura melodica sul refrain… Straordinario anche il break acustico in “Good News First”, per uno dei momenti più cantabili dell’intero platter.

Posati e raffinati anche “Larger Bowl” e “Faithless”, mentre la closer, “We Hold On”, è un vero e proprio colpo di coda all’insegna del dinamismo…

Dimenticate, dunque, le sfuriate istrioniche di una “Villa Strangiato” o di una “YYZ”, o di una “Anthem”, qui i brani sono al servizio dell’album, sia quelli cantati, sia le tre strumentali incluse: se non bastano i sei minuti di “Main Monkey Business” a fare lezione di musica per tecnica, intenzione, misura e arrangiamenti, potrete sognare con gli arpeggi di “Hope”, che vedono un Lifeson in uno dei pochi momenti solisti (altra novità?) con la sua dodici corde acustica, o addirittura ballare con i ritmi di “Malignant Narcissism”, a parti invertite, con Lee e Peart sugli scudi sorretti da Lifeson…

Dimenticate anche i tecnicismi ritmici da sempre in evidenza sotto il nome Rush: il drumming di Neil è oggi decisamente concentrato su groove e feeling, piuttosto che su acrobazie da maratoneta delle pelli; qui si gioca di fino, sul tocco, sull’intenzione, e non a caso è più difficile fare prog riempiendo un disco di “quattro quarti”, come accade in “S&A”…

Menzione particolare va all’artwork, una vera e propria opera d’arte nell’opera d’arte: la cover è stata dipinta a mano da Harish Johari, e fonde echi buddisti, ricordi coloniali indiani dell’inizio del secolo scorso, degli anni ’70 americani, nonché un famoso gioco da tavola per bambini originariamente chiamato proprio “Snakes & Arrows”. Bellissimi anche gli “interni” del booklet.

Per chiudere, “Snake & Arrows” è un disco maturo, che non ha ovviamente l’energia giovanile di un “2112”, né la perizia tecnica quasi esibizionista di un “Moving Picture”, ma i Rush nel 2007 sono dediti all’introspezione, all’apertura musicale, diretti e complessi al contempo, una band che rockeggia meglio di qualsiasi altra della stessa età. Lunga vita ai Rush, anche se i nostri non sembrano aver bisogno di auguri…

Tracklist:

1. Far Cry
2. Armor and Sword
3. Workin’ Them Angels
4. Larger Bowl
5. Spindrift
6. Main Monkey Business
7. Way the Wind Blows
8. Hope
9. Faithless
10. Bravest Face
11. Good News First
12. Malignant Narcissism
13. We Hold On

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