Recensione: Something Is Rotten In Humanity

Nei primi anni Novanta, gli Unbounded Terror rappresentavano una delle tante alternative alla dominante scena floridiana, quando, forse con più speranze che aspettative, diedero alla luce il loro esordio, “Nest of Affliction“, un concentrato di death metal oscuro, gutturale e devastante. Si sarebbero potuti definire tranquillamente gli Incantation iberici, con solo qualche spruzzata di thrash di matrice tedesca qua e là. Insomma, qualcosa di davvero interessante per l’epoca. La loro carriera si interruppe però quasi subito dopo e riprese vita solo nel 2019, con il solo Vicente Payá della formazione originale, stavolta non più soltanto alla chitarra, ma anche alla voce.
Da quel momento, sono tre i full-length pubblicati dal combo delle Baleari. I due album precedenti, non proprio esplosivi, hanno rappresentato una ripartenza dignitosa, ma è oggi che la band propone qualcosa di decisamente più convincente.
Dalle viscere più oscure dell’animo umano e dal marciume pulsante della scena death metal iberica, gli Unbounded Terror tornano con un’opera che è al tempo stesso una condanna e un rituale: “Something Is Rotten In Humanity“. Non è solo un titolo: è un avvertimento inciso nel granito delle nostre colpe.
Con nove tracce che grondano brutalità, decomposizione e visioni apocalittiche, gli Unbounded Terror alzano il livello in ogni aspetto: scrittura, produzione, atmosfera. Il disco si apre con “Fear Of Dying“, una raffica immediata di riff abrasivi e vocalizzi che sembrano sputati da un cadavere rianimato. Il suono è inconfondibile: grezzo ma preciso, antico ma vivo, come un grimorio risvegliato da mani sacrileghe. Il tutto scorre con una fluidità disarmante, cavalcato da un growl che fa accapponare la pelle, in una prestazione magistrale del mainman Vicente Payá.
C’è una maledizione che permea ogni nota, qualcosa di sottilmente arcano che separa la band dal resto del panorama old school: progressioni armoniche che sanno di zolfo, strutture che si piegano e si spezzano sotto il peso dell’oscurità e quella “magia nera” che solo i veri cultori riescono a evocare. Il sound non è però privo di dinamica, come ci si potrebbe aspettare da chi sceglie l’oscurità più che la pura violenza. La band mette in atto un massacro sonoro ricco di elementi estremamente coinvolgenti e, appunto, dinamici con dei soli fantastici tra l’altro.
Brani come “Demons In Your Mind” e il singolo “Divine Virtue” mostrano una maestria compositiva che travalica la mera nostalgia per gli anni ’90: una forma decomposta e brutale che prende pienamente vita nelle sezioni soliste struggenti e nelle aperture melodiche dal sapore infernale. “Divine Virtue” è una macchina da guerra che schiaccia tutto al suo passaggio, mentre “The Disappointment” è puro carburante da headbanging: riff su riff, un pugno nei denti.
La produzione firmata da Vicente Payá è perfetta: densa, sporca, eppure chiara, con un mix che sa esaltare ogni aspetto della carneficina. Il tocco di Davide Billia (Putridity, Beheaded, Avulsed, Antropofagus, Septycal Gorge) al mix e master garantisce impatto e devastazione, mentre l’artwork di Juan Castellano (Paganizer, Carnation, Anal Vomit) suggella l’intera operazione con uno sguardo su una gelida desolazione.
“Something Is Rotten In Humanity” non è solo il miglior album della carriera degli Unbounded Terror: è uno dei più forti manifesti death metal di questo 2025. Crudo, autentico, ispirato, ricco di storia musicale che pesca dal death primigenio, dal thrash e dalle raffinatezze sulle sezioni soliste che solo i grandi maestri hanno saputo mettere in musica, Patrik Mameli dei Pestilence e Chuck Schuldiner dei Death su tutti. Oggi come oggi se la giocano alla grande con gli Immolation. Un disco che puzza di morte e profuma di leggenda. Album immenso!