Recensione: Space 1992: Rise of the Chaos Wizards

Di Luca Montini - 26 Ottobre 2015 - 15:30
Space 1992: Rise of the Chaos Wizards
Band: GloryHammer
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2015
Nazione:
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70

In the distant future of the year 1992,
War has returned to the galaxy!

 

Secondo lavoro per i sempre più folli GloryHammer, giovane power metal band scozzese che dalle epiche vicende dell’ottimo debut “Tales from the Kingdom of Fife” intende fare un salto di mille anni per portarci nel lontano (?) futuro dell’anno 1992. È qui narrata la storia del malvagio stregone del caos Zargothrax, nuovamente intenzionato a minacciare la prode cittadella di Dundee (coraggiosa capitale della Caledonia, Scozia), e con essa la distruzione dell’universo intero. Roba da niente, insomma. Riuscirà Angus McFife XIII a fermarlo, così come fece il suo predecessore Angus McFife I nell’anno 992, dopo aver preso possesso del Martello della Gloria (GloryHammer) e del Laserdrago Ancestrale (Ancestral Laserdragon)? 
Sveliamo subito il primo arcano: gli anni 1992 e 992 sono da intendersi come A.D., ossia after Dundee, dopo la fondazione della cittadella da parte del leggendario eroe Dundax (217 B.D. – 21 A.D.), primo principe della contea di Angus. Per maggiori informazioni sull’ambientazione della Scozia immaginata dai GloryHammer, qualche coraggioso patriota di Dundee ha creato una wiki: il Dundanian Codex
Sui GloryHammer possiamo invece ricordare che sono nati nel 2010 (del nostro calendario greoriano), fondati e capitanati dal cantante degli Alestorm Christopher Bowes, qui alle prese con gli oscillatori positronici… ehr… alle tastiere, nelle vesti del malvagio Zargothrax, stregone oscuro di Auchtermuchty. Suo rivale eroico, neanche a dirlo, il cantante Thomas Winkler, meglio noto come Angus McFife XIII, principe dell’Impero Galattico di Fife

Per quanto i GloryHammer risultino sin dal primo ascolto musicalmente molto derivativi, i nostri riescono comunque a controbilanciare con una simpatia non comune: dall’intro orchestrale “Infernus ad Astra” che anticipa i vari temi dell’opera come in una vera soundtrack, alla prevedibile “Rise of the Chaos Wizards”, primo singolo del disco di chiara matrice rhapsodiana, con intro in latino stereotipato “Sanctus dominus/ Infernus ad astra”, strofa con cavalcata epicheggiante e ritornello in doppia cassa che inizia con: “For the King…”, ma che per fortuna non procede parlando di terre, montagne e verdi valli dove volano i draghi. Divertente il videoclip, pieno di effetti speciali e goblin.
Entra in scena Angus McFife in “Legend of the Astral Hammer”, pezzo che fa il verso anche agli Alestorm col coro piratesco. Il disco procede restando su registri abbastanza lineari, senza troppa varietà compositiva: tanta melodia, tappeti tastierosi talvolta più fantasy e talvolta più futuristici, ritornelli corali con i personaggi che vengono via via presentati, dal “Goblin King of the Darkstorm Galaxy” all’ “Holllywood Hootsman”, sempre con quell’ironia da titoloni ipertrofici con qualche spruzzata di scottish humour.
Colpo di scena alla traccia otto con “Universe on Fire”: la band semplifica la struttura del brano, alleggerisce la melodia e soprattutto inserisce forti elementi elettronici da astro-discoteca. Non sono di certo i primi a cimentarsi in questi sperimentalismi, già affrontati negli ultimi anni da Stratovarius o Battle Beast, ma il risultato è più che soddisfacente – tanto da dedicare al brano un lyric video. Coinvolgente.
Senza neppure una ballad ad inframezzare (i veri eroi non ballano mai!) inizia la battaglia decisiva per le sorti dell’universo: dalla cavalcante “Heroes (of Dundee)” alla suite finale “Apocalypse 1992”, in cui tra una narrazione e l’altra l’apocalisse si fa sempre più vicina. Nei suoi dieci minuti scarsi la band sperimenta diverse soluzioni melodiche in maniera convincente, senza nulla da invidiare ai maestri del genere. Alla desolante “Dundax Aeterna” il compito di dipingere il tremendo scenario dopo la battaglia spaziale…
 
Ad un’attenta analisi, “Space 1992: Rise of the Chaos Wizards” deve gran parte del suo carisma al contesto in cui si inserisce, così come a trovate musicali sempre molto semplici, dirette ed immediate seppur forti degli ottimi arrangiamenti alla tastiera di Bowes/Zargothrax, prive di particolari esibizionismi e virtuosismi tecnici, accompagnate da testi iperbolici che fanno chiaramente il verso alle millemila epopee epicheggianti che abbiamo ascoltato negli ultimi vent’anni di power metal di matrice fantasy. Del resto solo un nerd incallito riuscirebbe a trovare il senso ad espressioni come: “The evil wizard Zargothrax began to recite the dread incantation which would unlock the Chaos Portal to the galactic nexus”. 
Impossibile tuttavia non rievocare fin troppe volte, durante l’ascolto, oltre ai prevedibili Alestorm, i ricordi dei Rhapsody dell’Emerald Sword Saga, nonché il solista “Prophet of the Last Eclipse” di Turilli (in)volontariamente citati in fin troppe occasioni dagli scozzesi, come nell’uso in apertura e chiusura del latinorum in tutto quel power tra armi leggendarie e battaglie epiche che esplode nel prevedibile ritornello corale in doppia cassa. L’ironia dei ragazzi inoltre risulta spesso fin troppo sottile, sia per i rimandi alla cultura scozzese non facilmente intuibili che per il loro nonsense epico da situare in un ipotetico punto intermedio tra la solenne epicità dei Rhapsody e la pura follia graffiante e provocatoria dei Nanowar of Steel
Molto coinvolgenti in sede live (con quei costumi, poi…), attualmente in tour con gli Stratovarius, i promettenti GloryHammer portano a casa il bottino persino con questo secondo lavoro in studio, che non mancherà di rinfoltire le fila dei guerrieri di Dundee, nonché dei fan della band. Nel frattempo, tuttavia, suggeriamo a McFife  e soci di prepararsi ad una nuova battaglia cercando di rafforzare la propria identità musicale con un po’ più di originalità e varietà nelle composizioni, obiettivo qui centrato solo in parte, per salvare l’universo del power metal e fermare una volta per tutte il malvagio stregone del caos Zargothrax ed i suoi malefici goblin.

Luca “Montsteen” Montini

 

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