Recensione: Spectral Katharsis

Di Nicola Furlan - 22 Giugno 2022 - 2:09
Spectral Katharsis
83

Olio Tähtien Takana, ovvero creature al di là delle stelle, è il progetto musicale capitanato dal polistrumentista v-KhaoZ. Per l’occasione la ex-one man band diventa ora un duo. A differenza del passato, per questo terzo album in studio, v-KhaoZ s’è infatti tirato a bordo anche Hellwind Inferion, già voce dei Sargeist e dei grandiosi Desolate Shrine, nonché compagno d’avventure nel progetto symphonic black Embryonic Slumber. Che i due ci sappiano fare è un dato di fatto. Quando ascolti dischi come “Spectral Katharsis” capisci che c’è sostanza musicale e soprattutto abilità nel trasmettere ‘sensazioni’ e nell’aprire visioni nella mente di chi ascolta. Sostanza che, tra l’altro, era già percepibile nei due dischi usciti nel 2017 (“Morphogenesis” e “Neocosmos”) con l’unica eccezione che questi avevano una componente ambient più marcata. E questo è già un buon motivo per ‘promuovere’ un album che merita di arrivare all’attenzione dei più devoti ad un certo modo di concepire la musica ovvero a coloro che sanno apprezzare la sperimentazione, pur pretendendo che certi canoni compositivi vengano rispettati. E veniamo quindi al disco.
“Spectral Katharsis” è gelo assoluto. Quel gelo che entra dentro l’animo umano e porta all’azzeramento del movimento molecolare. Va in profondità, dove la percezione della vita si rivaluta e si fonde al più vacuo cosmo ancestrale sovrastante.
La capacità che ha la band di esprimere la maestosità esoterica delle costellazioni è palpabile e percepibile con acuta intensità. Il duo innalza la propria visione al cielo e lo fa con maestria, adottando soluzioni compositive gravi ed estreme. Ispirazioni ‘made in Arcturus’, si fondono all’incedere symphonic black di matrice norvegese (molti i rimandi al riffing in stile Old’s Man Child e altrettanti passaggi armonici in pieno stile Emperor), attraversando territori propri dell’avantgarde classico, percepibile dietro le narrazioni teatrali che Hellwind Inferion sciorina per tutti i cinquanta minuti di durata di questi dodici pezzi. Insomma, qui dentro ci stanno un bel po’ di cosette ereditate dal leggendario periodo ‘made in Nowray’.
Tutta questa importante abilità creativa si realizza in brani particolarmente rappresentativi come Towards the Dying Moon, Prophecies of Pandemonium, Journey to the Most High ed Ego Aeternum: pezzi intensi, strutturati, che lasciano decisamente sensazioni di oppressione e peso cognitivo visto come scorrere incessante di visioni cosmiche apocalittiche ed infinite. L’immagine che ho colto è quella di qualcuno che evoca abnormi e ciclopiche creature da spazi lontani, bui e siderali. È un disco che sa regalare davvero delle visioni se si è in grado di lasciarsi trasportare dalle onde sonore che sprigiona.
La produzione pure risulta opportuna. È compatta nell’incedere, ma pure di ampio respiro quando sono le atmosfere a doversi esprimere. È altresì piena nei suoni e corposa nei bassi e realizza appieno l’intento musicale del gruppo. Fortemente consigliato agli amanti dell’atmospheric/symphonic black in grado di uscire dai canoni classici e autorizzato a concedersi licenze artistiche non propriamente ordinarie come ci aspetterebbe dalla maggior parte dei gruppi dediti a questo modo di esprimersi sul campo. Decisamente interessanti.

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