Recensione: Steelbound

Di Manuel Gregorin - 9 Novembre 2025 - 10:00
Steelbound
Band: Battle Beast
Etichetta: Nuclear Blast
Genere: Power 
Anno: 2025
Nazione:
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74

Dopo essersi preparati il terreno nei mesi scorsi con i primi singoli, i Battle Beast sono ora pronti per tornare all’assalto con il nuovo album “Steelbound“. Edito dalla Nuclear Blast, il disco è uscito ad ottobre 2025 e mette sul tavolo una miscela di metal, pop e tastiere dal sapore eurodance. Una direzione dal forte intento radiofonico che la band finlandese porta avanti già dai tempi di “No More Hollywood Endings“. Questa scelta artistica, se da un lato ha coinciso con la crescita di popolarità della band, dall’altro ha lasciato un po’ di amaro in coloro che non hanno gradito l’approccio più morbido del nuovo corso. Una situazione divisiva che probabilmente continuerà a tenere banco anche con questo nuovo album.

La prima traccia, “The Burning Within“, inizia con un riff di chitarra molto promettente, rimane poi sospesa sulla strofa cantata fino ad adagiarsi nella melodia easy del ritornello. La volontà dei Battle Beast di puntare anche questa volta sul facile ascolto trova conferma anche nelle tracce successive, “Here We Are” e “Steelbound“, dove la band finlandese fa abbondante ricorso alla disco metal a loro tanto cara. Con grande disinvoltura, le chitarre e la batteria viaggiano appaiate a soluzioni dance neanche tanto velate, arricchite da buone dosi di pop-rock ottantiano.
Se nelle decadi passate le influenze dance avrebbero fatto inorridire i metal fan di tutto il globo, oggi sono state ben metabolizzate, tanto da venire, in certi casi, addirittura apprezzate. E di questo sono ben consapevoli i Battle Beast, che possono farne un punto di forza dei loro lavori senza rischiare di incorrere in eclatanti processi mediatici.

A questo punto, verrebbe da pensare che per tutto il resto del disco non troveremo più nessuna sorpresa, quando invece ecco che Noora Louhimo e soci tirano fuori il coniglio dal cilindro. “Twilight Cabaret” può essere definita, se vogliamo, la traccia più sperimentale di questo lavoro, andando ad includere elementi latino-americani e caraibici.
La ricetta adottata dai Battle Beast per i loro album recenti pare concentrarsi su brani ben confezionati con un songwriting accattivante. Non mancano i momenti più carichi di adrenalina e le chitarre pompate, ma si trovano spesso a convivere con soluzioni pop-metal.

Nonostante tutto, i Battle Beast trovano ancora il tempo per ricordarci che, quando vogliono, sanno essere una metal band con gli attributi. Ecco quindi che danno gas al motore con “Last Goodbye“, un robusto heavy power che poggia le basi su dei corposi riff di chitarra, come quelli che hanno fatto la fortuna dei primi tre album. Una traccia che pare piazzata al momento giusto per accontentare i palati dei vecchi fan più intransigenti, i quali potrebbero cominciare ad annoiarsi dei pezzi nuovi. I toni si fanno più sontuosi su “Blood of Heroes“, una cavalcata bombastica che strizza l’occhio ai Rhapsody of Fire, con un portamento fiero, sporadici inserti sinfonici e un breve stacchetto folkeggiante.

Mentre ci avviamo verso le battute conclusive, tornano a farsi vive le soluzioni easy listening che segneranno la rotta dei pezzi conclusivi. Ecco quindi arrivare “Angel of Midnight“, un hard rock dalle forti connotazioni AOR dove chitarra e ricami di tastiere si alternano fino a confluire nell’efficace ritornello. “Riders of the Storm” è una galoppata disco metal che ruota attorno ad una melodia da marcetta. Il risultato finale è un po’ tronfio, ma riesce a divertire e a farsi apprezzare. La chitarra dal taglio moderno posta all’inizio di “Watch the Sky Fall” potrebbe far credere a una conclusione più energica di questo disco, ma invece il pezzo muta subito forma, esibendo una veste decisamente più morbida con un immancabile ritornello orecchiabile. In ogni caso, ci pensa un buon assolo di chitarra a conferire al brano un po’ di quella focosità che non guasta mai

Con “Steelbound“, i Battle Beast ci offrono ancora il loro classico mix di potenza, melodia e disco dance, con gli ultimi due elementi che hanno guadagnato maggior spazio nelle produzioni più recenti. La band punta a canzoni dirette e accattivanti che riescano a far presa sul grande pubblico. Nonostante il risultato sia abbastanza soddisfacente, bisogna anche dire che il disco stenta a offrire qualcosa di veramente formidabile. Pur essendo consapevoli che la band desideri andare avanti senza dover per forza guardare al proprio passato, è evidente come a “Steelbound” manchi un po’ di quella magia che caratterizzava i primi tre lavori. Il voler puntare ostinatamente sulle soluzioni orecchiabili rende il lavoro piacevole, ma fa sì che scorra via senza lasciare un segno particolare. Tutte le canzoni si equivalgono, ma man mano che si procede con l’ascolto, tendono anche a neutralizzarsi l’una con l’altra. Va anche detto che gli ultimi album, specie in patria, sono stati premiati in termini di copie vendute, e presumibilmente alla band interessa questo. Quindi, come per, “la squadra che vince non si cambia“, gli album che vendono non si discutono.
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