Recensione: Substratum

Di Marco Donè - 12 Agosto 2015 - 16:24
Substratum
Band: Anatomy of I
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2015
Nazione:
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75

Bel colpo quello operato dalla nostrana Punishment 18 che mette sotto contratto gli Anatomy Of I e riporta alla luce Substratum, disco di debutto – e attualmente unico lavoro – della band olandese. L’album venne pubblicato nel 2011 e passò, inspiegabilmente, quasi inosservato. Ma chi sono gli Anatomy Of I? Sono una band nata da un idea del chitarrista/cantante Michael Dorrian, che ha coinvolto nel progetto l’amico di lunga data Dirk Verbeuren (Scarve, Soilwork ed ex Aborted) alla batteria ed il bassista Steve DiGiorgio, un nome che non ha certo bisogno di presentazioni. L’idea di Dorrian, per i suoi Anatomy Of I, è quella di creare una band capace di spaziare dal jazz/fusion al grindcore, inglobando elementi da generi quali il metal di matrice classica, il thrash ed il death. Cercare di portare, come detto dallo stesso chitarrista olandese, una boccata d’aria fresca. Una boccata d’aria fresca che sembra però giungere dal passato, in quanto risultano assai evidenti i riferimenti a quel movimento da molti chiamato technical death, movimento che ha visto uscire i propri dischi più rappresentativi proprio nei primi anni novanta.

 

Ed è da lì che Substratum ha inizio. Sono infatti facilmente riconoscibili le influenze del compianto Schuldiner e dei suoi Death così come alcune influenze di Mameli e dei suoi Pestilence del periodo più sperimentale. Ma gli Anatomy Of I non si limitano ad una citazione di idee altrui, inglobano nella loro proposta elementi technical thrash, farcendo il tutto con una spruzzatina modernista. Il risultato? Un album tritaossa caratterizzato da una perizia tecnica che in pochi possono vantare, tanto da risultare a tratti quasi maniacale. Ascoltando il disco, la prima cosa che balza all’orecchio è l’incredibile lavoro di Dorrian alla chitarra. Parti in your face si mescolano sapientemente a parti più ragionate e complicate senza mai dimenticare una certa melodia di fondo. La solistica è estremamente curata e caratterizzata da un ottima pulizia di esecuzione. Nelle sue composizioni Dorrian riesce nel difficile compito di dar vita ad una proposta articolata e personale, attingendo a piene mani da più generi senza che questo vada a snaturarne il risultato. Ovviamente il compito è agevolato da dei compagni d’avventura di prim’ordine, da una sessione ritmica spaventosa. Steve DiGiorgio non ha certo bisogno di presentazioni ed il suo lavoro al basso è di quelli che sicuramente non passano inosservati. Ma a sorprendere più di tutti, perlomeno per chi scrive queste righe, è Dirk Verbeuren autore di una prestazione semplicemente sbalorditiva. Le doti tecniche e di picchiatore erano ben note, è solo che qui raggiungono una dimensione superiore. La facilità con cui riesce ad alternare parti in blast beat a parti di chiaro orientamento jazz/fusion è disarmante. Riesce inoltre a mettere sempre i giusti accenti per valorizzare il già citato ottimo lavoro di Dorrian alla chitarra.

 

Ogni singola traccia risulta essere un vero e proprio caleidoscopio in musica, capace di spaziare in più generi ma senza mai snaturare l’identità propria degli Anatomy Of I. Basta ascoltare canzoni come Fluid River in cui parti jazz/fusion si incastrano alla perfezione a veri e propri assalti extreme metal – o Banished Messiah – in cui fanno capolino fraseggi chitarristici che strizzano l’occhio a quella componente modernista citata in precedenza – per capire quale sia l’universo musicale degli Anatomy Of I. Un disco che risulta sempre convincente, anche quando ci troviamo al cospetto di tracce più canoniche (termine da prendere con le pinze sia ben chiaro) come la title track, che risulta più death metal oriented ed in cui spicca una parte centrale estremamente tecnica, o le due tracce d’apertura, Organic Machine e Harvest The Fallen, in cui lo spirito dei Death di sua maestà Schuldiner risulta evidente.

 

E se volessimo cercare un aspetto negativo del disco? Il dito verrebbe sicuramente puntato sulla prestazione vocale di Dorrian. In ambito technical death si sono sentite voci migliori. Va comunque detto che dopo ripetuti ascolti ci si abitua alla sua timbrica, tanto da risultare difficile immaginare il disco con una voce diversa. L’importante è riuscire a superare lo scoglio iniziale.

 

Da sottolineare che la ristampa targata Punishment 18 che ci troviamo a curare in queste righe viene impreziosita da tre bonus track: Organic Machine, Dimension e In Memoriam. Le prime due sono canzoni che troviamo nella tracklist dell’album, qui però con una nuova veste. Le chitarre sono state infatti ri-registrate presso i Final Focus Studio ed ai Red Nautilus Studio in Olanda per poi esser nuovamente masterizzate e mixate da Simone Mularoni ai suoi Domination Studio. Il risultato è quello di avere delle chitarre più grosse ed in primo piano. Ma, sinceramente, trovo più appassionante la versione originale, con quel suo retrogusto un po’ nineties a creare una sorta di magia che si respirava in dischi d’altri tempi. Nostalgico? Forse…

In Memoriam è invece un’inedita strumentale. Affascinante e coinvolgente in ogni sua evoluzione e può rappresentare per gli Anatomy Of I quello che una certa Cosmic Sea ha rappresentato per i Death. Paragone azzardato? Sicuramente, ma a volte è bello azzardare.

 

Substratum si rivela quindi un disco di ottima fattura, elegante, curato, aggressivo, dinamico. Un disco che molto probabilmente non risulterà digeribile a tutti. I continui cambi di tempo, la commistione di generi diversi, la continua ricerca di partiture tecnicamente inarrivabili per i comuni esseri umani, sono fattori che, per chi non è avvezzo a tali sonorità, possono risultare ostici e non permettere di assimilare il disco correttamente. Mentre chi, da sempre, è affascinato da tali soluzioni, troverà pane per i suoi denti. Un plauso alla Punishment 18 per aver riportato alla luce un disco di tal fattura.

 

Marco Donè

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