Recensione: Swansong

Di Matteo Bovio - 15 Gennaio 2002 - 0:00
Swansong
Band: Carcass
Etichetta:
Genere:
Anno: 1996
Nazione:
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70

Ultimo album in studio per il leggendario combo inglese, questo “Swansong” chiude in maniera non propriamente dignitosa una brillante carriera. Una carriera contraddistinta da una progressiva evoluzione che ha portato il gruppo dal più spietato Grindcore ad un Death Metal tanto cattivo quanto ragionato e bello. Quest’ultimo album invece esce completamente dal contesto e, per quanto di per sè non sia brutto, fa sicuramente storcere il naso a chiunque conosca i Carcass dei bei tempi.

La produzione è in tutto e per tutto simile a quella del precedente “Heartwork”, anche se sicuramente maggiori sono le rifiniture, e nel complesso sentiamo un album dai suoni e dall’esecuzione impeccabile. i Carcass comunque era già da almeno due album che ci abituavano ad una tecnica degna di nota, quindi il punto non risiede di certo in questo; anche perchè ho sempre creduto che la tecnica, quando non è fine a sè stessa, non può che arricchire qualunque tipo di produzione.

Ma già ad un primo ascolto si nota come i Carcass abbiano definitivamente abbandonato qualunque apertura a ritmi tirati: le canzoni poggiano tutte su ritmiche se non lente comunque moderate, che poco hanno a che fare con ciò a cui eravamo abituati. Scordatevi pezzi simili a “Heartwork” o “Death Certificate”, giusto per fare due esempi recenti rispetto a “Swansong”; la furia Death Metal è stata sostituita da una predisposizione più rockeggiante. Lo stesso riffing ha perso di consistenza e non gioca più su strutture d’impatto, ma piuttosto su arrangiamenti “morbidi”.

In tutto questo le vocals non hanno subito modifiche rispetto all’immediato passato: quanto ne risulta è quello che molti, a ragione, hanno definito come Death’n’Roll il nuovo stile proposto. Sfido chiunque a trovare una definizione che meglio rispecchi l’indole e la musica di “Swansong”. L’esempio più lampante è “Generation Hexed”, che si appoggia su un riffing che di Death metal non ha assolutamente nulla, mentre si avvicina inevitabilmente a una sorta di rock. Oppure si senta il ritornello di “Keep On Rotting In The Free World”: se non fosse per il cantato tipico di Jeff Walker, verrebbe da canticchiarlo per la strada dopo un paio di ascolti.

Di per sè, lo ripeto, l’album è carino ed indubbiamente ben realizzato. Ma è innegabile come di tutto ciò che aveva caratterizzato i Carcass fino ad “Heartwork” non sia rimasto nulla (se non qualche accenno in “Don’t Believe A Word”). Ascoltate la quinta traccia, “Cross My Heart”, prestando particolare attenzione agli arrangiamenti, e non potrete che darmi ragione. Direi dunque che qualsiasi fan dei Carcass deve conoscere questo Cd per dovere verso il gruppo, ma non deve farsi alcun tipo d’illusione, altrimenti rimarrà profondamente deluso. Chi invece con il combo inglese non ha mai voluto aver a che fare ha qui un’occasione per avvicinarvisi. Almeno ho constatato con piacere che la vena ironica presente nei Carcass sin da “Reek Of Putrefaction” è rimasta inalterata… ma non basta.
Matteo Bovio

Tracklist
01. Keep On Rotting In The Free World
02. Tomorrow Belongs To Nobody
03. Black Star
04. Cross My Heart
05. Childs Play
06. Room 101
07. Polarized
08. Generation Hexed
09. Firm Hand
10. R**k The Vote
11. Don’t Believe A Word
12. Go To Hell

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