Recensione: Switch

Di Filippo Benedetto - 30 Ottobre 2004 - 0:00
Switch
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Anno: 1975
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85

Il 1975 per i Golden Earring è un anno decisamente particolare e importante allo stesso tempo. Segna una svolta sia a livello di formazione che per quanto concerne lo stile compositivo. Con l’entrata nella band del tastierista Robert Jan Stips (proveniente dalle file dei Supersisters), infatti nel gruppo viene “investito” da una novità non da poco: maggiore cura per le armonizzazioni tastieristiche dal punto di vista tecnico strumentale e una virata più “progressive” per quanto riguarda l’approccio compositivo. Il risultato che ne conseguì fu la registrazione di “Switch”, eclettico e interessante platter. Cominciamo dunque la recensione di “Switch” notando, innanzitutto, con piacere la qualità della copertina che correda questo lavoro. In essa è ritratto una sorta di manichino di legno sospeso in aria con sottili fili che lo tengono legato ad un pezzo di legno alquanto usurato. Strana copertina, ma nella sua “particolarità” decisamente affascinante.

Si parte con la splendida “Intro: Plus Minus Absurdio”. Il titolo è efficacissimo nel descrivere l’atmosfera espressa dalle armonie del brano. L’intro suadente (e vagamente psichedelica) sembra preparare il “terreno” allo svolgimento di una song ricca di tensione ritmica e pathos melodico. Il punto forte del brano è  proprio l’atmosfera di teatrale drammaturgia che lo permea, elevandolo tra i migliori del platter. La seguente “Love is a rodeo” sposta invece l’attenzione dell’ascoltatore lungo melodie di più facile impatto, grazie ad un groove irresistibile dove un drumming accattivante si amalgama con un riffing diretto e frizzante. Da notare il grande lavoro alle keyboards di Stips che sapientemente riesce a dare notevole corposità al sound complessivo del pezzo. Le vocals sono graffianti al punto giusto e per certi versi ricordano lo stile inconfondibile di Mick Jagger (ma questo “deja vu” lo si potrà riscontrare di seguito saltando un paio di songs). Passando alla terza traccia, la title track, si può notare appieno il deciso cambio di stile intrapreso dalla band rispetto al precedente album (il fortunato “Moontan”). Questa track è alquanto articolata nel suo sviluppo, intrecciando temi musicali dei più svariati (da “strizzate d’occhio”, anche se vaghe, al reggae style a coinvolgenti sterzate boogie rock di grande classe). Molto ben costruito è il lungo assolo che si inserisce in chiusura di brano, elevando di tono il complesso della song. Il pezzo “forte” del disco è rappresentato dalla seguente “Kill me (ce soir)”, song costruita su un “crescendo” melodico di grande impatto, dove un riffing elegante e diretto allo stesso tempo la fa da padrone. A donare ulteriore pregevolezza al pezzo interverviene poi un tappeto violinistico che aggiunge una certa sontuosità al tutto, mentre le vocals (qui più chiaramente ispirate dallo stile del singer dei Rolling Stones) svolgono il ruolo di “trascinamento emotivo”. Il lirismo del guitar solo mette, infine, il sigillo finale a questa vera e propria “gemma”. Con  “Tons of Time” la virata stilisticas del combo si fa più evidente, sviluppando un discorso musicale nel quale vengono fusi in maniera originale armonie tipicamente reggaeggianti con altre più votate ad un rock “leggero” nella forma più che nella sostanza tecnico strumentale. Di grande apertura melodica, nonché sontuosità negli arrangiamenti la seguente “Daddy gonna leave my soul”, dove il gruppo concentra l’attenzione dell’ascoltatore lungo linee melodiche “ariose”, un drumming preciso e lineare e soprattutto un assolo per sax davvero coinvolgente. Si nota una spiccata tendenza da parete del combo nello sperimentare una forma canzone a metà tra il tradizionale e la suite strumentale (dove ogni membro arricchisce l’architettura melodica del brano secondo il proprio  “gusto strumentistico”). A riprova di questo particolare approccio tecnico strumentale, nonchè d’arrangiamento, basta citare la settima “Troubles and Hasses”, dove si può notare una spiccata “verve” virtuosistica unita ad un gusto per l’arrangiamento di originali melodie quasi “progressive”. Chiude in bellezza l’album la quasi sognante “Lonesome D.J.”, dove l’ascoltatore può essere ammaliato dal limpido e brillante riffing portante del pezzo oltre che da un tappeto pianistico di grande effetto. Di grande effetto è la progressione in un “crescendo” rock del brano, nella quale la qualità tecnico strumentale dei musicisti può essere gustata dall’inizio alla fine non senza trasporto emotivo.

In conclusione con “Switch” i Golden Earring dimostrano una versatilità compositiva come poche bands del periodo. Affretatevi a farlo vostro questo lavoro che di sicuro rapirà i vostri cuori cullandovi lungo le note di una musica che non esito a definire “senza tempo”.

Tracklist:

1. Intro: Plus Minus Absurdio       
2. Love Is a Rodeo       
3. Switch       
4. Kill Me (Ce Soir)       
5. Tons of Time       
6. Daddy’s Gonna Save My Soul       
7. Troubles and Hassles       
8. Lonesome D.J.

Line Up:

Barry Hay: guitars and vocals
George Kooymans: guitars and vocals
Cesar Zuiderwijk: drums and percussion
Robert Jan Stips: keyboards
Rinus Gerritsen: bass

 

 

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