Recensione: Synchro Anarchy

Di Roberto Castellucci - 10 Febbraio 2022 - 8:00
Synchro Anarchy
Band: Voivod
Genere: Progressive  Thrash 
Anno: 2022
Nazione:
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74

«Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi».

Si vede fin da subito come io abbia bisogno di prendere con le molle questa recensione. Inizio l’articolo da lontano, prendendo una citazione da un libro fenomenale che da anni consiglio a chiunque di leggere almeno una volta nella vita: Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Oltre a rendere palese la mia difficoltà nell’avvicinarmi al quindicesimo lavoro partorito dalle menti dei canadesi Voivod, questa citazione mi sembra particolarmente adatta alla circostanza. Nel romanzo la frase fa riferimento all’atteggiamento di chi, avendo fatto parte dell’elite in un determinato periodo storico, finge di adattarsi ad un nuovo ordinamento politico e sociale per non perdere i propri privilegi. A questo punto mia moglie, salernitana verace, direbbe: ma che ci azzecca? Ebbene, chiunque conosca la lunga successione delle pubblicazioni dei Voivod potrebbe aver sentito suonare dentro di sé un proverbiale, provocatorio ‘campanellino’. E’ infatti innegabile come ognuno dei loro album sia diverso dal precedente; a volte la differenza è meno marcata, come ad esempio tra i novantianiNegatron” e “Phobos”, caratterizzati dalla clamorosa assenza di Denis “Snake” Belanger al microfono e da un comune orientamento verso il cyber/groove/industrial…chiamatelo come preferite. A volte invece la distanza è abissale: basta prendere in esame l’incredibile prog-jazz-thrash (e chi più ne ha più ne metta) di “Nothingface”, datato 1989, e il successivo, accessibilissimo “Angel Rat” del 1991. E’ come se tra questi ultimi due dischi passassero 2 anni solari e più o meno 20 anni di storia della musica…eppure si tratta dei medesimi Voivod, fatta eccezione per il bassista Jean-Ives “Blacky” Thèriault che mollerà il combo subito dopo l’uscita di “Angel Rat”.

Pensiamo ora ai cambiamenti apportati al proprio stile da parte di molti gruppi Thrash Metal nei primi anni ’90. Giusto per fare due esempi: nel 1991 gli Anthrax si davano al Rap insieme ai Public Enemy, consegnando ai posteri “Bring The Noise”, mentre i Metallica iniziavano ad occupare il loro grande posto nel Mondo con il “Black Album”, perdendo qualche migliaio di fans tra le frange più intransigenti ma guadagnandone decine di migliaia in bacini d’utenza completamente diversi…da lì in avanti il Thrash Metal cambierà volto per una buona decina d’anni, ma questa è un’altra storia. Fatto sta che i Voivod, nel ‘decennio nero’ del Thrash old-school, si dedicano al Rock con “Angel Rat”, fanno un rapido passaggio in territorio Hard ‘n’ Heavy con “The Outer Limits” per poi passare a sonorità più ‘moderne e contemporanee’ con i succitati “Negatron” e “Phobos”. Se non è capacità di adattamento questa non saprei dove altro andare a cercarla, ed ecco servito il motivo per cui mi è venuto in mente Il Gattopardo. Non si pensi a questo punto che io voglia far passare i Voivod come biechi opportunisti, tutt’altro: credo che siano stati sempre in grado di rinnovarsi senza perdere colpi, abbracciando o abbandonando la corrente musicale del momento, riuscendo comunque a rimanere ostinatamente nella cosiddetta ‘nicchia’…e infatti non mi risulta che i componenti della band succedutisi negli anni siano mai diventati ricchi sfondati. Non credo che ci sia riuscito nemmeno il buon Jason Newsted che, guarda caso, si ritroverà bassista nei Voivod durante i primi anni del ventunesimo secolo: il fuoruscito dei Metallica, ribattezzato voivodianamente ‘Jasonic’, darà onesta prova di sé nell’imperfetto “Voivod” del 2003 e nei successivi, soddisfacenti “Katorz” del 2006 e “Infini” del 2009. Di sicuro la prematura dipartita dello storico chitarrista Denis “Piggy” D’Amour, avvenuta nel 2005, si è fatta sentire, così come l’arrivo di Newsted, ma il fatto che questi ultimi dischi suonino più diretti e più ‘duri’ dei precedenti non è unicamente dovuto a ciò: il primo decennio ‘dei 2000’ è un periodo storico in cui le buone vecchie sonorità Thrash tornano alla ribalta, tanto che ormai da un’abbondante quindicina d’anni si parla, e non senza ragione, di Thrash Revival. Questo volgersi indietro ai bei tempi che furono, e che attualmente sta riportando in auge monicker sempreverdi come Exodus e Vio-lence, non poteva non influenzare in qualche modo anche la produzione dei Voivod. Di sicuro accostare i Voivod e il loro approccio al solo Thrash Metal è un operazione rischiosa; il mostruoso mix di generi musicali e innovazioni sonore che abbiamo imparato a temere nel corso degli anni si sentiva già nel primo seminale “War And Pain”: lo si vedeva fare capolino tra le note di chiusura quasi ‘sperimentali’ in brani come “Warriors Of Ice” o nell’incedere apparentemente ‘zoppicante’ di “Suck Your Bone”…ebbene, nel corso degli anni quel monstrum è cresciuto in modo talmente inarrestabile da portare alla pubblicazione di un disco straordinariamente multiforme come l’ultimo “The Wake”, datato 2018. Era presumibile a questo punto che anche i Voivod facessero un piccolo passo indietro, in questo caso assecondando la corrente e infarcendo il quindicesimo disco con sonorità tendenzialmente più abbordabili.

Il primo brano, “Paranormalium”, irrompe nelle nostre orecchie con un impatto che francamente mi ha stupito. E’ bello constatare come certe sonorità tipicamente Thrash siano tornate a far parte dell’orizzonte artistico dei canadesi, come già succedeva nell’EP del 2015, “Post Society”, e in “The Wake”: fa piacere come questo aspetto rappresenti finalmente un elemento di continuità tra un disco e l’altro. Anche la produzione colpisce fin da subito: il disco sfoggia suoni piuttosto puliti, frutto evidente di un lavoro attento a non scadere nelle vibrazioni lo-fi di certi classici, e talvolta la proposta suona addirittura genuinamente aggressiva, sia musicalmente che nella voce di ‘Snake’ Belanger, capace di scivolare sorprendentemente in uno scream che ci fa quasi ricordare certe urla sguaiate dei primissimi album. Non aspettatevi quindi grandi ‘svolazzi d’ugola’ da parte del buon Snake; le linee vocali di “Synchro Anarchy” sembrano tornare alle origini, senza particolari picchi in quanto a tecnica e melodia. D’altronde Belanger non ha mai fatto nulla per nascondere un fortissimo approccio canoro simil-Punk, atteggiamento che rimane invariato dopo le seppur ben riuscite ‘pause’ melodiche di album come “Angel Rat” e “The Outer Limits”. I testi dei Voivod anche in questa occasione vengono spesso ‘recitati’ più che ‘cantati’, riallacciandosi ad una tradizione che sia i fans dei Voivod che quelli dei Pink Floyd ben conoscono: tralasciare parzialmente l’aspetto puramente “estetico” dell’arte canora, che a conti fatti spesso finisce per essere quello più convenzionale e fine a se stesso, è una scelta che, come ai bei tempi di Dimension Hatröss” e “The Outer Limits”, permette di esporre nel migliore dei modi gli aspetti folli della vita e della musica, dando così una coloritura aggiuntiva al titolo dell’album. “Synchro Anarchy” è infatti un titolo che suona come una dichiarazione d’intenti per un gruppo come i Voivod. Quasi tutte le loro opere non possono essere descritte meglio: anarchia sincronizzata è un perfetto ossimoro che rende benissimo l’idea. Inutile tenere conto dei molti riff, dei repentini cambi di tempo e delle esplorazioni in più generi musicali talvolta portate avanti in una sola canzone. E considerate che questo “Synchro Anarchy” è un disco apparentemente più ‘regolare’ rispetto al penultimo, stravagante e poliedrico “The Wake”. Che poi i Voivod abbiano sempre giocato con i vari generi musicali non è un mistero per nessuno: con fare provocatorio mettono l’ascoltatore in difficoltà, gli fanno credere di ascoltare techno thrash per poi scaraventarlo di punto in bianco nel bel mezzo di sperimentazioni a metà tra il Prog e il Noise…e si capisce a quel punto che si deve concedere ancora una volta ai Voivod un ascolto attento e consapevole.

I quattro savant fous canadesi puntualmente producono canzoni che al primissimo ascolto semplicemente non possono ‘acchiappare’ nessuno, trattandosi di composizioni che per la loro stessa natura sfuggono ad un’appropriazione istantanea. Sono necessari ascolti ripetuti, a breve distanza l’uno dall’altro…e per un metallaro di vecchia data come me, che da sempre cerca di beneficiare degli effetti catartici prodotti da sonorità robuste e preferibilmente dirette, l’operazione risulta doppiamente difficile. Devo confessare però che ogni volta in cui mi sono ‘sacrificato’ per approfondire meglio la conoscenza di certi dischi, ritenuti ostici ad una prima riproduzione, mi sono dovuto ricredere. Se mi fossi fermato alla prima impressione non avrei mai potuto godere di pietre miliari come “Dark Side Of The Moon” dei già citati Pink Floyd, “In The Court Of The Crimson King” dei King Crimson…o semplicemente il bellissimo “Crimson” degli Edge Of Sanity, famigerato album-monolite contenente una sola canzone di 40 minuti: tutti capolavori che con la facilità di ascolto hanno ben poco a che vedere. Ebbene, per il nostro “Synchro Anarchy” è valsa la pena di sacrificare quel tempo che sembra essere sempre più prezioso man mano che si accumulano i nostri anni di presenza sulla Terra? Ascoltare musica non è mai uno spreco di tempo, sia chiaro, ma con “Synchro Anarchy” mi si è presentato più volte il fatale dubbio di avere per le mani un disco meno coinvolgente sul lungo termine rispetto ai suoi illustri predecessori. Voilà, bomba sganciata, dente tolto, via il pensiero. Chi non è ancora stramazzato al suolo colpito da un esplosivo mal di testa si faccia coraggio, cercherò di spiegarmi in qualche modo e di farmi perdonare. In buona sostanza è successo qualcosa durante la ‘preparazione acustica’ per la stesura di questa recensione (vale a dire: maratona di tre settimane in cui ho ascoltato e ripassato tutta la discografia in studio dei Voivod a ogni ora del giorno e della notte). Mi sono reso conto che, dopo aver avuto modo di ascoltare molte volte “Synchro Anarchy”, il mio desiderio di appagamento sonoro viene soddisfatto molto più volentieri da alcuni dischi che ho già nominato: “Katorz”, “The Outer Limits”, “The Wake”, “Negatron” (per amor di cronaca: il primissimo disco dei Voivod giunto quasi trent’anni fa nella mia collezione). E, ovviamente, il sacro “Killing Technology”, fortemente evocato anche nel sito web della band, in cui campeggia lo stesso carattere usato per scrivere la parola ‘technology’ nella copertina di cotanto capolavoro. Capolavoro citato sì nel carattere usato sul sito, ma ben poco nei contenuti musicali: “Synchro Anarchy” da parte sua ha molto a che vedere con la produzione voivodiana del  quinquennio ’88-’93, vale a dire il periodo che passa tra Dimension Hatrösse “The Outer Limits”, con graditi e piacevoli inserti Thrash che, pur essendo sporadici, riescono anche a incoraggiare un po’ di sano headbanging. Il platter è insomma piuttosto vario e ce n’è per tutti i gusti: partendo dalla certezza che un’analisi track-by-track di un disco dei Voivod abbia lo stesso valore di un combattimento contro i mulini a vento, mi limiterò a fare una breve carrellata di alcuni brani.

I videoclip della title-track e di “Planet Eaters” sono stati diffusi già da tempo dalla band, dando così un’idea a tutti gli interessati di cosa aspettarsi al momento dell’uscita dell’album. Le due tracce ben riassumono tutte le peculiarità del disco da cui sono state estratte: troviamo le consuete chitarre dissonanti accompagnate dal basso sempre in evidenza, strofe orecchiabili alternate a parti tipicamente Prog, testi in cui alcuni elementi caratteristici del Fantastico fungono da metafora, o da critica, alla realtà di tutti i giorni. Anche il primo brano della tracklist, “Paranormalium”, è stato anticipato da un lyric video che ne ha svelato le potenzialità; a chi volesse subito partire in quarta consiglio di iniziare l’ascolto da questa canzone e soprattutto dalla penultima “Quest For Nothing”, una delle più thrashy del lotto. I fans che invece preferiscono il lato dei Voivod più prog-oriented si possono buttare a capofitto su “Mind Clock” e ancora di più sulla sorprendente “Holographic Thinking”, contraddistinta da una serie di accattivanti stravolgimenti ritmici e melodici a metà brano: uno dei pezzi più ipnotici della lista. Non mancano derive melodiche e rocchettare: “Sleeves Off”, con i suoi ritornelli Punk’n’Roll, e in modo particolare “The World Today” sapranno accontentare tutti gli ascoltatori che hanno percepito “Angel Rat” e “The Outer Limits” come ‘ottime innovazioni’ e non come ‘tradimento dell’intero movimento Thrash Metal’. Ma a questo punto, cosa impedisce a “Synchro Anarchy” di salire nell’Olimpo della discografia dei Voivod? E’ presto detto: con il nuovo album è venuto a mancare lo stupore che ha accompagnato l’ascolto di un grande lavoro come “The Wake”. Le nuove tracce rischiano di fare la fine di quella pietanza che amiamo tantissimo ma che ormai, dopo anni e anni di assimilazione, non ha quasi più nulla da comunicarci, come d’altronde ci insegna Jerry Calà il Sommo: ‘tutti i giorni aragosta, sempre aragosta…’e finisce che ci si abitua, rendendo necessario cercare qualcosa di ancora più nuovo e stimolante. Gli “ascolti ripetuti, a breve distanza l’uno dall’altro” che proponevo qualche riga fa, insomma, non hanno contribuito a far crescere esponenzialmente il mio seppur positivo apprezzamento nei confronti di “Synchro Anarchy”. Ormai si sarà capito, ma in questo senso continuo a considerare “The Wake” come uno dei migliori prodotti dei Voivod degli ultimi anni: l’album del 2018 riesce a incuriosire e coinvolgere l’ascoltatore in una sarabanda di influenze diverse, mirabilmente mescolate per dare forma a un’opera ricca di sfaccettature e allo stesso tempo incredibilmente coesa. Con “Synchro Anarchy” invece parliamo ‘solamente’ di un bel disco, divertente, ben prodotto e ovviamente ben suonato, che però non aggiunge nulla a quanto è già stato detto dai Voivod nei molti anni di carriera: chi ama il gruppo canadese continuerà incondizionatamente a farlo, mentre coloro che non li hanno mai digeriti seguiteranno a tenerseli sullo stomaco. Per tutti, comunque, vale il solito augurio: buon ascolto, perché ascoltare ottima musica non è mai una perdita di tempo, soprattutto quando arriva da professionisti che conoscono il mestiere come le loro tasche. Una delle migliori canzoni di “The Wake” s’intitolava “Always Moving”, cioè ‘sempre in movimento’, ed è una bella fortuna che i Voivod non abbiano nessuna intenzione di fermarsi. Oltre ad essere una costante garanzia per le orecchie e per il portafoglio, vi posso assicurare che i Nostri rappresenteranno un ottimo antidoto alle melodie sanremesi pronte ad affollare l’etere nel mese di Febbraio 2022…lettori avvisati, mezzi salvati. Alla prossima!

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