Recensione: The Alien Inside

Di Onirica - 13 Febbraio 2004 - 0:00
The Alien Inside
Band: Empty Tremor
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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90

Con tutto l’orgoglio che mi trovo in corpo presento ai gentili ascoltatori un capolavoro di estrema raffinatezza e caparbietà compositiva, un disco tutto italiano che rivolge un fiero sguardo al resto del mondo spaventando a morte chiunque osi mettere in dubbio l’importanza del nostro paese sul campo progressivo. Ho assistito all’evoluzione di questo gruppo e vi posso assicurare che porgere orecchio a tanto genio artistico pensando che si tratta di un gruppo italiano significa rendersi conto del talento tricolore cui il pianeta può ancora attingere, quindi questa recensione vuole essere prima di tutto la celebrazione di una release importante ma anche la dimostrazione che quando si è alla ricerca di buona musica basta spesso guardare sotto il proprio naso per restare estasiati, risparmiando i soldi del cibo pronto d’oltreoceano. Ci sono ancora troppi grandi gruppi di giovani ragazzi italiani che meritano la priorità sull’ascolto! Gli Empty Tremor superano con le loro dimostrazioni di forza l’ostacolo più grande per il definitivo successo e firmano per la Frontiers Records sfoderando un disco di pura qualità e tecnica, con un songwriting che in tutta franchezza non mi sarei mai aspettato. Le melodie sono nette ed incisive, le chitarre tagliano i timpani ed ogni brano gode di buona tecnica, senza nulla togliere ad una buona dose di tenerezza che secondo il sottoscritto mai può mancare in casi come questi. Ma certo questo gruppo italiano dimostra anche di aver imparato moltissimo da altri famosi capotasti del metal progressivo, le influenze infatti sono spesso evidenti altre volte si intravedono, ma comunque non sono poche: la presenza di due chitarre e l’uso di corpose tastiere rimanda con piacere ai Threshold degli ultimi tempi, non mancano la drammatica freschezza dei Pain Of Salvation o le atmosfere teatrali dei Pallas nè tantomeno audaci cavalcate ispirate alla decima sinfonia, le strutture adottate per sposare i diversi strumenti produce nella mia mente un paio di associazioni evidenti con la musica degli Spock’s Beard mentre il modo di incastonare il cantato nella musica al fine di enfatizzare alcuni versi ben precisi mi ricorda spesso i Fates Warning dei primi anni novanta, mica male vero!

Oliver Hartmann – Lead and background vocals
Christian Tombetti – Electric and acoustic guitars
Marco Guerrini – Electric and acoustic guitars
Dennis Randi – Bass
Stefano Ruzzi – Drums and percussions
Daniele Liverani – Keyboards

Difficile incontrare un disco in grado di affascinare dall’inizio alla fine. Evito quindi qualsiasi precisa citazione per mettere in vetrina bello e cattivo tempo di un album forte soprattutto se considerato nella sua interezza e non scomposto in otto lunghe parti. La coerenza delle tracce è un aspetto a mio modesto parere molto importante per la riuscita di un disco che voglia lasciare il segno, il gruppo in questione riesce bene a rendere questo punto di forza con un’accurata scelta dei suoni e con un ostinato sforzo in senso compositivo volto a non lasciar saturare la tensione brano dopo brano. Nel complesso ci troviamo di fronte ad un disco in una sola parola efficace, ovvero gradita unione di violenza e classe: fresco e leggero come mille piume, riesce a sintetizzare rigore strumentale e audacia compositiva con il respiro rigenerante delle tastiere, le chitarre si stringono in un vortice sincrono di riff ma riescono anche a strappare lacrime nei pezzi acustici mentre la sezione ritmica non fa altro che reggere nel migliore dei modi gli strumenti che governano la melodia dei secondi che seguono, il basso offre maggiore corposità e volume restando pur sempre nascosto dalle chitarre ma la batteria si ritagli spesso e volentieri degli spazi propri per restare sola a riflettere sul proseguire del brano. La voce del cantante Oliver Hartmann sfrutta spesso la zona di passaggio all’acuto dimostrando solo raramente di essere benissimo in grado di cantare note veramente alte, interessante è notare come questo personaggio tenga di più a mostrare il lato più graffiante e suggestivo della propria arte con una voce calda ed ammaliante, ottima anche la sua prestazione. Progressive metal a tutti gli effetti ragazzi, tempi irregolari ed intrecci strumentali da non capirci più niente, gli ingredienti sono questi e non mancano sicuramente tuttavia per correttezza o per eccessiva severità non posso non segnalare l’unico piccolo grande punto debole del disco: il gruppo rielabora in modo eccellente le proprie ispirazioni ma dimentica forse personalità e destrezza nel gestire le proprie potenzialità, attenzione non sto dicendo che manca originalità ma anche le più grandi idee del disco possono essere fatte risalire alla tradizione del progressive metal classico, da questo deriva un sound generale troppo standard che penalizza la personalità della band. Insomma non trovo nulla di veramente fuori dagli schemi, il disco è grandioso ma non può definirsi un passo avanti o un’evoluzione nella concezione del metal progressivo, mi riferisco prima di tutto ai suoni utilizzati e subito dopo al modo di sviluppare le melodie principali di ogni singolo brano. Voglio conoscere una volta per tutte gli unici grandi veri Empty Tremor, forse dopo aver ascoltato un album di questa portata mi troverete troppo esigente, avete ragione ma che ci posso fare se già penso alla prossima uscita di questo entusiasmante combo italiano? 

Andrea’Onirica’Perdichizzi

TrackList:

01. The Alien Inside
02. I Found You
03. A New World
04. Who You Really Are
05. Don’t Stop Me
06. Stay
07. The Love I’ve Never Had
08. The Alien Outside

 

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