Recensione: The Call

Di Matteo Lasagni - 15 Luglio 2006 - 0:00
The Call
Band: Heed
Etichetta:
Genere:
Anno: 2006
Nazione:
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75

The Call incarna uno spirito piuttosto oscuro e intricato che pone gli scandinavi Heed sugli scudi sin dal primo attacco di “I’m Alive”. Il loro mood soavemente dark e le impennate melodiche di alcuni passaggi non propriamente laconici lasciano ampio spazio a gusti metallici decisamente eterogenei.
Il gruppo nasce dalla collaborazione del guitarist Fredrik Olsson, ex Lost Horizon, e del singer Daniel Heiman. L’estrazione chitarristica di Olsson ha una matrice a cavallo fra heavy e power, e si pone in grande evidenza in un contesto decisamente guitar-oriented e di assoluto valore, in cui Heiman offre una prova vocale da brividi, grazie alla sua timbrica graffiante e tecnicamente impeccabile. In alcuni acuti sembra addirittura di sentire il grande Sebastian Bach dei primissimi Skid Row, mentre più in generale si avvicina come stile e impostazione al bravissimo Jonny Lindkvist dei connazionali Nocturnal Rites.

Ne consegue che alcuni brani, su tutti “Last Drop Of Blood”, sembrino presi direttamente da “Grand Illusion”, fra ritmiche cadenzate, granitici riff e vocals molto calde e melodiche. Queste pecularità sono a dire il vero croce e delizia di questo debut, eccellente in alcuni episodi, ma privo di quei cambi di passo e di quelle “sferzate” che avrebbero probabilmente aumentato il tasso di longevità di questo album, stretto nella morsa di un heavy metal di ottimo livello, ma ancora troppo omogeneo. A parte l’intro e la ballad conclusiva “Nothing”, tutti gli altri brani si assomigliano molto e solo dopo diversi ascolti si riescono a percepire chiaramente i contorni delle varie tracce. Certo, alcuni momenti di “The Call” rasentano la perfezione, e sfido chiunque a non rimanere abbagliato dalla sontuosità del chorus di “Enemy”, uno dei refrain più trascinanti che mi sia capitato di sentire negli ultimi tempi, oppure dalla velata malinconia di “The Other Side” e “Ashes”, o ancora dall’aggressività dell’opener “I’m Alive”. Anche il già citato lento conclusivo “Nothing” denota una certa personalità e sottolinea ulteriormente le qualità degli Heed in fase di songwriting, oltre che le eccezionali doti canore di Heiman.

Sicuramente parliamo di un disco che non presenta vistosi cali di tensione, e questo aiuta non poco l’ascoltatore, che in long-play-running non troverà grandi input a skippare al brano successivo, ma al contrario potrà godersi piacevolmente tutte le 12 tracce presenti.

Track list:
01. Heed Hades
02. I Am Alive
03. Last Drop Of Blood
04. Ashes
05. Enemy
06. Salvation
07. Tears Of Prodigy (Fallen Angel)
08. The Other Side
09. Hypnosis
10. Moments
11. The Permanent End Celebratio
12. Nothing

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