Recensione: The Cosmic Trance Into The Void

Di Daniele D'Adamo - 9 Febbraio 2015 - 21:30
The Cosmic Trance Into The Void
Band: Hic Iacet
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2015
Nazione:
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75

‘Qui giace’.

Chi l’avrebbe mai detto, all’epoca dell’eliminazione del latino dalle scuole medie in Italia, che la Lingua Madre sarebbe risorta per alimentare gli oscuri temi del metal estremo, black in particolare?

Nessuno.

Tantomeno gli spagnoli Hic Iacet, per l’appunto, progetto avvolto da una fitta cortina fumogena per ciò che concerne i musicisti operanti. Incogniti. Addirittura ipotizzati come minimale one-man band. Una considerazione che si fonda su elementi concreti, poiché il loro sound assume a sé tutte le caratteristiche principali tipiche di un’elaborazione solista. Con particolar riguardo alla batteria, i cui pattern paiono frutto più di bit che di braccia umane. 

Comunque sia, alla fine quello che importa è il risultato finale, e a quello occorre concentrarsi. E, al momento, il punto di arrivo è “The Cosmic Trance Into The Void”, full-length di debutto che segue “Hedonist Of The Death”, demo del 2012, e “Prophecy Of Doom”, EP del 2012; frutti di una carriera che, quest’anno, raggiunge il lustro di esistenza.      

Hic Iacet, come tanti altre emanazioni ultra-underground del metallo oltranzista, svolge la propria musica sfiorando la sottile linea rossa che separa il death metal dal black. Seppure siano individuabili con facilità parecchi stilemi appartenenti al secondo genere, “The Cosmic Trance Into The Void” è un’opera che rientra nell’immensa famiglia del death. Probabilmente è il growling lacerante del vocalist che induce a osservare da questo punto di vista gli Hic Iacet. In via principale. Giacché in estrema sintesi è il suono complessivo, l’anima musicale, a far propendere la sua tipologia da una parte invece che dall’altra. E, in questo caso, nulla è di meglio del death per tratteggiare l’agghiacciante vuoto cosmico che, oltre l’esosfera, è pronto a ghermire l’incauto viaggiatore delle stelle. 

La formazione iberica, però, mostra una fedeltà assoluta ai dettami primordiali del genere. Quando, cioè, erano in via di definizione sia il death, ma soprattutto il black e il thrash. Tanto è vero che la chitarra ha una somiglianza rabbrividente con quella, ancora inconfondibile a trent’anni di distanza, degli Hellhammer di Tom G. Warrior. Si tratta ovviamente di una scelta voluta, giacché l’evoluzione del metallo più oscuro è stata impressionante, nel corso del tempo. Una scelta che non regala una grande originalità a “The Cosmic Trance Into The Void” ma che ne delinea con precisione i confini stilistici.

Del resto anche il songwriting è tanto apparentemente quanto testardamente rozzo e primitivo. I riff della sei corde sono semplici e immediati, così come i brutali blast-beats della batteria e le intellegibili linee vocali. Il tutto, contrariamente alla teoria, suona tuttavia dannatamente genuino. E anche brani come “The Catacombs Of The Mandala”, davvero lunghi in rapporto al contenuto musicale, riescono a esprimere un loro fascino arcano. Misterioso. Esoterico. Segno, a parere di chi scrive, che dietro al progetto Hic Iacet non ci siano (o ci sia), gente sprovveduta.

Anzi, non si può non constatare con piacere che, in barba alla notorietà che può offrire la luce del giorno, qualcuno perseveri a vivere un’infinita passione nell’ombra.     

Daniele “dani66” D’Adamo

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