Recensione: The Dark Parade

Di Marco Catarzi - 10 Luglio 2021 - 12:37
The Dark Parade
Band: Mordred
Etichetta: M-Theory Audio
Anno: 2021
Nazione:
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70

Nel gioco circolare di corsi e ricorsi, varie band della Bay Area hanno ripreso l’attività negli ultimi decenni dopo scioglimenti o pause più o meno ufficiali (Forbidden, Possessed, Dark Angel, Vio-lence, Lȧȧz Rockit…), con fortune altrettanto alterne.

Portatori di istanze sperimentali ed eterodosse, all’insegna di contaminazioni imprevedibili (funky, rap, hardcore…) i Mordred sono stati, subito a cavallo tra anni Ottanta e Novanta, i rappresentanti di una vera e propria libertà espressiva in ambito thrash.

Ritrovarli a oltre venticinque anni di distanza dal controverso The Next Room (1994) suscita sorpresa e una certa aspettativa in chi ancora ricorda i fasti di Fool’s Game (1989) e In This Life (1991). In verità l’EP apripista Volition (2020) aveva lasciato qualche perplessità sulla possibile direzione del presente The Dark Parade.

Di fronte a un artwork che riprende, aggiornandole, le tematiche della copertina dell’esordio, le speranze dei fans della prima ora non potevano essere sopite. Il riff thrash di Demonic #7, unito a inserti scratch del sempre presente Aaron ‘DJ Pause’ Vaughn, non sembra volerle deludere. Il sound non è più quello asciutto e bellissimo dei primi due album, ma si pone al passo con i tempi a livello di produzione. È un piacere ritrovare tutta la versatilità di Scott Holderby nell’alternanza di cantato rap e refrain suggestivi, tra fraseggi strumentali compatti e ottimi solismi.

Malignancy è un altro attacco thrash, con linee vocali tirate che sfociano in un ritornello alternative. Il muro sonoro lascia spazio a una parte centrale nuovamente ricca di scratch e parti soliste di grande perizia. Le chitarre compresse di I Am Charlie descrivono strofe dirette, ai limiti dell’hardcore, e melodie dissonanti, mentre Holderby si muove ancora tra rap e parti cantate. I Mordred non si sono mai posti limiti nel mettere insieme elementi differenti, ma in questo caso il brano vorrebbe essere tante cose allo stesso tempo, non riuscendoci appieno.

Da qui in avanti il thrash metal passa in secondo piano (fino a scomparire), inizia infatti il processo di contaminazione a cui il gruppo di San Francisco non si è mai sottratto. In Dragging for Bodies troviamo i Mordred che amano mischiare, con un riff ipnotico dal flavour seventies su tastiere in stile hammond. Il cantato è lisergico, per un pezzo che flirta con certa psichedelia, entrando in territori stoner e fregiandosi di intense parti strumentali.

Sax e ottoni annunciano l’arrivo della “parata oscura” della title-track, perfetta colonna sonora di un variopinto corteo freak, in un crossover post grunge dove convergono atmosfere hard rock sudiste e sprazzi alternative. Iniziamo piano piano a renderci conto che in questo nuovo album del funk degli esordi non v’è traccia (a risentirne soprattutto il basso di Art Liboon).

All Eyes on the Prize è un vorticoso calderone di metal, rap, hardcore e rock, mentre Dented Lives mostra un lato alternative di buona fattura. Smash Goes the Bottle confonde con la sua partenza che rimanda all’hard rock più stradaiolo, sviluppando poi una melodia coinvolgente e “spontanea”, ricca di aperture luminose. Holderby è finalmente “libero” di cantare, in un’interpretazione tra John Bush e Mike Patton. In lontananza possiamo intuire che nel background dei due chitarristi (James Sanguinetti e Danny White) non manca nemmeno il metal di orientamento più tradizionale. Sicuramente la canzone (tra quelle non metal) più convincente del lotto.

Dopo i primi singoli (non a caso i due pezzi che aprono la scaletta) chi si aspettava un ritorno al thrash rimarrà deluso. Fool’s Game è lontanissimo, ma lo è anche l’apertura mentale di In This Life, vero e proprio apice del funk metal. A dispetto di alcune dichiarazioni della band, siamo più vicini all’EP Vision del 1992 (solo nelle intenzioni) e a The Next Room (per l’impronta alternative di alcune canzoni).

The Dark Parade è un disco composto e suonato senza artifizi da musicisti di ottimo livello, il problema risiede semmai nell’audience a cui può rivolgersi. I pezzi che lo compongono prendono tante direzioni col rischio di non accontentare completamente nessuno. Non avrà nulla da dire ai giovani seguaci del revival thrash metal, ma potrebbe faticare a coinvolgere anche gli ascoltatori più avvezzi alle sonorità alternative, finendo per incuriosire solo coloro che si ricordano ancora del nome Mordred.

In una scena in cui tutto sembra ormai già sperimentato, la proposta della band californiana fatica ad avere il potere innovativo di un tempo. Eppure, in fondo, siamo felici che Holderby e compagni siano tornati, per costringerci ancora una volta a tenere aperte le nostre menti e i nostri ascolti, sperando che The Dark Parade sia il primo passo di una nuova fase della loro carriera.

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