Recensione: The Dead Shall Dead Remain

Di Matteo Bovio - 12 Maggio 2002 - 0:00
The Dead Shall Dead Remain
Band: Impaled
Etichetta:
Genere:
Anno: 2000
Nazione:
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80

Un fantasma attraversa costantemente la scena estrema: lo spirito di uno dei gruppi più significativi e a mio parere troppo poco celebrati, i Carcass. Credo che ogni band estrema avrebbe piacere nel vedere il suo nome affiancato a questo, ma sono poche quelle che effettivamente meritano il privilegio. Ritengo che sia impossibile non citare a tale proposito gli spagnoli Haemorrage e gli svedesi General Surgery: ecco però che alla lista si accoda anche questo malatissimo gruppo statunitense, che risponde al nome di Impaled. Come avrete già capito, non siamo davanti a dei carcassiani del secondo periodo, ma lo spirito che guida queste band è quello dei primissimi lavori, quelli più grindcore.

Un primo elemento comune, oltre all’art-work molto splatter, è sicuramente il suono: invece che essere ipercompresso come vorrebbe la tradizione Brutal, è decisamente più smorzato. Immaginatevi la produzione di Symphonies Of Sickness migliorata… E poi, ovviamente, le canzoni stesse: sicuramente molto elevate tecnicamente, senza mai esagerare, privilegiano sempre la violenza piuttosto che gli aspetti rigorosamente formali. Il song-writing, sempre rimanendo nel paragone con i Carcass, lo vedrei come una via di mezzo tra il già citato 2° album e il suo successore: del primo prendono le atmosfere particolari, del secondo le strutture particolarmente lunghe e gli stacchi veloci.

Ma gli Impaled’s non brillano solo di luce riflessa: sanno anche essere personali nei limiti concessi dal Grind Death. Senza nascondere la loro musa ispiratrice (alcune vocals filtrate sembrano uscite direttamente da Reek Of Putrefaction…) non vogliono tuttavia fermarsi al titolo di band clone. Ecco dunque uscire brani come Flesh & Blood o la ancor più stupenda Spirits Of The Dead: geniali, sanno colpire l’ascoltatore in maniera veramente incisiva, e si presentano a mio avviso come i due episodi meglio riusciti.

Come già accennato, la prova risulta perfetta anche da un punto di vista tecnico: il drumming è piuttosto minimale, nel senso che non si lascia andare ad inutili abbellimenti. Devastante e preciso anche nelle parti più veloci, non lascia dubbi sull’ottima preparazione dell’elemento in questione. Altrettanto belle le parti di chitarra, per le quali vale lo stesso discorso: pur essendoci dietro un’ottima preparazione tecnica, si limitano ad un riffing perfetto ed appassionante, con qualche assolo qua e là. Il tutto, scusate se mi ripeto, in perfetto stile Carcass.

Un album per tutti i nostalgici di quei suoni tanto cari, ma anche per chi adora la musica violenta ma è stufo dei gruppi Brutal: qui di quel genere come è inteso classicamente non troverete molto, e potrete esplorare un altro modo di suonare Death in maniera estrema. Solo ed esclusivamente per chi non ha problemi cardiaci…
Matteo Bovio

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