Recensione: The Engine Cries

Di Lorenzo Maresca - 3 Maggio 2018 - 10:00
The Engine Cries
Band: Superscream
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2017
Nazione:
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77

Arrivano dalla Francia i Superscream, gruppo che, con il primo album del 2011, Some Strange Heavy Sound, si è inserito a pieno titolo nel filone del progressive metal. Dopo aver goduto di un buon riscontro da parte della critica, la band ha finalmente pubblicato il suo secondo lavoro, The Engine Cries, registrato nel 2015 ma pubblicato solo nel 2017.

Gli ingredienti che compongono il sound dei Superscream arrivano da mostri sacri del proprio genere di riferimento, come Dream Theater e Pain of Salvation, assieme a un pizzico di power metal che può ricordare i Symphony X (seppur privati degli elementi neoclassici) e una vena di puro hard ‘n’ heavy di stampo americano. Ma la caratteristica principale della band d’oltralpe è probabilmente quella di fare largo uso di elementi derivanti dalla musica etnica e orientale: percussioni, riff arabeggianti e qualche sonorità esotica (si ascolti ad esempio il sitar su “Ways Out”) compaiono spesso su molti dei brani dell’album, e sembrano essere in qualche modo il filo conduttore dell’intero lavoro.
Ai cinque ragazzi di Rouen la tecnica non manca di certo: la sezione ritmica è potente e precisa, mentre la chitarra solista si lancia in assoli tutt’altro che semplici. Anche il frontman Eric Pariche si distingue per una notevole estensione vocale e una voce graffiante figlia della miglior scuola heavy metal. L’unica debolezza dell’album si può individuare probabilmente nella tendenza ad adagiarsi sui canoni del genere, per esempio nell’uso insistito di riff dalle influenze orientali che, per quanto possano essere affascinanti, corrono il rischio di trasformarsi in cliché. Per il resto si tratta di un disco solido, fatto di brani godibili, in cui i diversi umori e le diverse sfumature si alternano sapientemente.
L’influenza dei Dream Theater alla quale si accennava è già intuibile in “Evil Cream”, primo brano vero e proprio dell’album, se si esclude il breve intro che lo precede, mentre sulla title track compaiono le atmosfere misteriose caratteristiche dell’album, create dalle percussioni e dal tema della chitarra solista, ma sorrette da una ritmica che ricorda vagamente i Tool. La title track si può considerare allo stesso tempo uno dei brani più riusciti, e non a caso è stata scelta come singolo. Su “Pandora” ascoltiamo di nuovo un riff che sembra uscito dalle mani di John Petrucci, ma sulla successiva “Velvet Cigarette” il disco prende una svolta abbastanza imprevista con uno dei suoi pezzi più energici, forte di uno scanzonato riff anni Ottanta. “Your Necklace of Bites” è una canzone più lenta, anche se non definibile come una tradizionale ballata, dati i toni cupi ed epici, in cui il vocalist si dimostra essere il vero protagonista. Con i suoi nove minuti abbondanti la già citata “Ways Out” si rivela essere la traccia più lunga, un concentrato di progressive metal che si può considerare piuttosto indicativo dello stile dei Superscream e nel quale possiamo trovare parti acustiche, articolate sezioni strumentali o influenze dalla world music. Più particolare è la successiva “Where’s My Mom”, dove il basso e la batteria dell’introduzione sembrano voler strizzare l’occhio al jazz ma vengono raggiunti poco dopo da una chitarra piuttosto aggressiva; proseguendo col brano questa contrapposizione si fa ancora più marcata, con la band che passa dal cantato in growl a un breve estratto di vero e proprio jazz. “Metal Builder” è un altro pezzo piuttosto spinto e può vantare quello che è, per chi scrive, il ritornello più riuscito dell’album. In chiusura troviamo “Insane God”, una dignitosa ballata che mostra anche un paio di assoli niente male.

Se i Superscream sembrano faticare ancora un po’ a trovare una propria voce in grado di colpire davvero l’ascoltatore, bisogna ricordare che The Engine Cries si presenta senza dubbio come un prodotto professionale, sia per quel che riguarda la prova dei musicisti, sia per quanto concerne la produzione, calda ma allo stesso tempo precisa e dai suoni ben definiti. Insomma, si tratta di un insieme di influenze non inedito ma elaborato con grande competenza e in grado di dar vita a un album che scorre senza particolari intoppi. Se amate le contaminazioni tra metal e musica orientale avete trovato pane per i vostri denti.

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