Recensione: The Fates

Di Stefano Usardi - 11 Giugno 2020 - 0:02
The Fates
Band: Witches
Genere: Thrash 
Anno: 2020
Nazione:
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80

The Fates” è il terzo album dei Witches, gruppo francese che, seppur a fasi alterne, è attivo dalla metà degli anni ’80 e si dedica, almeno ufficialmente, a un violento e drittissimo thrash metal. In realtà, questa etichetta non è del tutto calzante per la proposta dei nostri: nei ventinove minuti di durata complessiva dell’album, infatti, il terzetto parigino parte sì da una struttura di base thrash per certi versi vicina a Slayer e Kreator, ma la annerisce con improvvise raffiche mutuate dal black e passaggi più compressi e vicini a certo death. Di tanto in tanto, poi, brevi e sporadici rallentamenti caricano l’aria di minaccia, parzialmente stemperata da rarissimi momenti di calma in cui il gruppo sembra, per la verità, solo tirare il fiato in attesa di una nuova, imminente sfuriata. Tracce brevi (durata media tre minuti e qualcosa, solo uno dei nove brani totali supera i quattro minuti) e lineari ma non per questo scolastiche, dominate da un percussionismo robusto e iracondo, un basso rombante e malevolo e chitarre agguerrite, burrascose ed in costante movimento che incidono armonie affilate, il tutto sormontato dagli strepiti gutturali e ferini della dolce pulzella Sybille. Il risultato è un lavoro immediato, violento e incalzante, in cui i nostri non fanno che una cosa e una cosa soltanto: picchiano.
Detta così sembra che il terzetto francese si dedichi anima e corpo a un vortice cacofonico tutto muscoli e chitarre a motosega, una mera manifestazione di violenza sonora fine a se stessa per far breccia nel cuore dei thrashers più oltranzisti e pochissimi altri. In realtà… beh, è più o meno così (a parte la storia delle chitarre a motosega: la coppia d’asce qui fa un lavorone) ma va detto che la cosa funziona alla grande. Sebbene il tasso di violenza di “The Fates” non si allontani mai troppo dal livello “maneggiare con cautela”, sotto la superficie è spesso rintracciabile una certa melodia di fondo, per quanto agguerrita e sanguigna. Inoltre, grazie alla sua breve durata e ad una scrittura solida e ruggente, “The Fates” non concede all’ascoltatore alcuna occasione per annoiarsi, ma si mantiene dritto e affilato come una lama dall’inizio alla fine, evitando i pericolosi momenti di stanca grazie a una resa energica e tesissima. Infine, bisogna dare atto ai nostri di aver cercato di non limitarsi alla semplice e vuota dispensazione di furia musicale, ma di aver creato un prodotto strutturato e dalle idee chiare su dove voglia arrivare. Questo grazie all’intenso lavoro di una coppia di chitarre che non sta ferma un attimo, ma cesella continuamente passaggi dai profumi diversi screziando la struttura rocciosa dei nostri con una serie di suggestioni che ne diversificano – seppur di poco – la resa complessiva: dagli echi di death melodico di “We Are” all’incalzante frenesia slayeriana di “Inside”, per arrivare a passaggi carichi di groove opprimente nella plumbea “Black from Sorrow” (l’unico vero tentativo del trio francese di prendere le distanze, almeno dal punto di vista ritmico, dai tempi frenetici del resto delle composizioni). Non mancano nemmeno schegge impazzite di pathos luminoso per concedere un po’ di respiro tra un a sfuriata e l’altra, come il passaggio dal retrogusto maideniano che compare a metà di “Let Stones Fall”, ma è indubitabile che sia nel chitarrismo determinato e furente di “Damned Skin is Mine” o della conclusiva e cafonissima “Death in the Middle Ages” che “The Fates” è stato forgiato. E meno male, aggiungo.
Eh sì: nonostante una ricetta abbastanza mono-direzionale, la carica aggressiva di “The Fates” gli permette di arrivare esattamente dove vuole senza prendere la strada panoramica o le scorciatoie fai–da–te che ti portano inevitabilmente nel mezzo del nulla, assicurando una sana mezz’ora di botte grazie a una serie di tracce coinvolgenti, frenetiche, incalzanti e grintose, declinate con la giusta dose di violenza ma senza scadere nell’indigesto.
Promossi.

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